Palla al centro: Andrew Bogut

November 17, 2011

Nessun ruolo è indice del carattere internazionale dell’Nba quanto quello del centro. A partire dalla seconda metà degli anni ’80, nella cerchia dei lunghi c’è sempre stata una piacevole componente cosmopolita: Divac, Bol, Olajuwon, Ewing, Seikaly, Mutumbo, Sabonis, Rick Smits, Longley, Muresan, Bradley, Radja, Brezec, Olowokandi, Polynice, MacCulloch, Zhizhi, Nesterovic… sino ad arrivare ai recenti Ming e Ilgauskas (appena ritiratisi), Kaman (“tedeschizzatosi”), Duncan, , gli “spanish brothers” Gasol, Nene, Milicic, Okur, Magloire, Biedrins, Diop, Gortat, Noah, Dalembert, Krstic, Pachulia, i giovani Fesenko e Splitter…

Volendo poi nominare anche gli “eclettici” si aggiungono: Horford, Scola e (de gustibus) Bargnani.

 

Certamente non si tratta sempre di All Stars, ma sono tutti giocatori che si sono conquistati una buona permanenza in Nba, magari in più squadre, oppure che nella propria breve esperienza  hanno pur sempre conosciuto il gusto dello starting five. Alcuni persino l’onore di essere prima scelta assoluta: Olajuwon fu il primo africano (1984), Bargnani è stato il primo giocatore europeo ad esserlo (2006), Ming il primo asiatico (2002), Bogut il primo oceanico (nel 2005; sebbene avesse fatto già il college negli States).

Non a caso, tutte le uniche prime scelte non “born in the Usa” sono lunghi (vanno quindi aggiunti ai suddetti quattro: Olowokandi, Duncan e Ewing), così come gli unici Rookie of the year stranieri (Pat Ewing, Pau Gasol e Tim Duncan). Come volevasi dimostrare.

 

Ciò premesso, non resta che guardare al futuro; così, dopo aver analizzato la situazione attuale del ruolo del centro, proveremo a dare un’occhiata (con una mini-serie di articoli) ad alcuni giovani centri, focalizzandoci sul loro ruolo in attacco e sulla loro capacità di essere perni offensivi per la propria squadra.

Come avrete già capito dal titolo, in questa puntata tocca al meno giovane degli “indagati”: Bogut (26 anni), premettendo doverosamente che la sua ultima stagione è stata “viziata”, poichè Andrew non si è ancora ripreso dal devastante infortunio della stagione precedente, al punto che ad Aprile è dovuto tornare in sala operatoria… il calo dei tentativi e delle percentuali, specialmente ai liberi (44,2%; comunque in carriera mai oltre il 63%), sono un indice più che eloquente della sua condizione (anche “mentale”) imperfetta, soprattutto considerando che per tutta l’estate 2010 non ha potuto toccare un pallone, ed ha riniziato a tirare solo al training camp.

L’aspetto positivo, facendo di necessità virtù, potrebbe essere che l’infortunio ha spinto Bogut a diventare indifferentemente ambidestro, addirittura, come vedremo, con una preferenza per la mano sinistra.

Conosciamolo meglio.

 

IDENTIKIT

Altezza: 7-0 (circa 213-215 cm)

Peso: 245 lbs (circa 110 kg)

Anni: 26 (28/11/1984)

Statistiche peculiari

-difesa: sesto per percentuale di rimbalzi difensivi (27,1% DRB%), ottavo per percentuale di rimbalzi totali (18,3% TRB%) e quarto per percentuale di stoppate (5,8% BLK%) ovvero, se preferite, 11,1 rimbalzi a partita e 2,6 stoppate di media (league best).

– attacco: è il centro più “autonomo” della lega, solo nel 48,1% dei casi ha segnato su assist, e non è lecito pensare che sia grazie ai rimbalzi offensivi (specialità in cui l’australiano è diciassettesimo), ma, vedendolo giocare, ci si accorge subito di come sia a suo agio nel prendersi responsabilità 1 vs 1. Eppure in squadra è solo sesto per Usg%, con 19,6% (ed un buon Ast% di 10,4%) con soli 12,8 punti di media, nati da un 49,5% dal campo ed un disarmante 44,2% i liberi. Nel 46,6% dei casi, segna da post up (ma realizza solo 0,78 Pps), solamente Howard, Milicic e Hibbert vi ricorrono più spesso; inoltre, è uno dei migliori per minor percentuale di palle perse da quella situazione (11,3%), riconfermando come sia una zona in cui è abituato a giocare, anche per i compagni. Da notare come, fra i centri con almeno 30 minuti di media in campo, soltanto Horford, M. Gasol, Noah e Nene hanno una percentuale di assist/possessi migliore del 13,6% di Bogut, a dimostrazione della matrice “altruistica” del suo gioco.

Contesto di squadra: senza Redd e con infortuni a Delfino e Jennings, il ruolo offensivo di Bogut (nelle 65 gare disputate) è stato quello ambivalente di: fornire punti dal pitturato e cercare di sbilanciare la difesa per innescare i compagni sul perimetro o in taglio. Missione compiuta: in un attacco non straripante per talento, Bogut ha fatto il suo dovere, specialmente se ricordiamo la sua condizione psico-fisica post-traumatica.

 

Indubbiamente, la sua firma (signature move come si usa dire ora…), il suo movimento più fidato è il semi-gancio. Non avendo un tiro fronteggiando il canestro e dovendo quindi agire a distanza limitata, Andrew ha adottato il semi-gancio come scelta di vita, come “monoteismo cestistico”: lo vedremo a breve eseguire ganci da ogni mattonella ed in ogni situazione… in generale, si contraddistingue per uno stile offensivo molto old school, scevro da finezze o “estetismi”: contatto dorsale, spinte in “retromarcia” con il bacino, poi drop step e semi-gancio. Né più, né meno. Niente fade-away e niente movimenti complessi con piede perno (non è stato avvistato nemmeno il classico “finta e passo d’incrocio” o up-and-under come lo definiscono sbrigativamente oltreoceano…). Per il resto, si fa trovare pronto per gli scarichi in area e s’impegna nel pick n’ roll, pur non dando l’idea di essere un bloccatore eccezionale (chiaramente, per motivi di gittata, il pick n’ pop non è affatto nelle sue corde).

Diamo un’occhiata:

 

Come avrete notato, gran parte dei semi-ganci e dei palleggi, coinvolgono la mano sinistra, indice di come la fiducia mentale ed il recupero fisico del braccio destro fossero tutt’altro che ristabiliti appieno.

Un aspetto piacevole del suo attacco resta comunque la capacità di non giocare mai sopra le righe: Bogut non rischia di strafare, magari per gloria del bottino personale, è invece sempre attento alla lettura della difesa e solitamente sa distinguere quando è il caso di tirare (perché la squadra ha bisogno di punti) e quando invece c’è la “linea libera” un buon passaggio che, in gran parte dei casi, viene eseguito con precisione; persino quando riceve in pick n’ roll ed è diretto al ferro, è disposto a scaricare sul perimetro se trova la paint intasata, indizio di mentalità da uomo-squadra non comune a tutti quelli con un potenziale offensivo simile al suo.

 

 

Quello che Bogut può garantire alla sua squadra è di certo l’attitudine al gioco corale, la comprensione degli schemi ed un’umiltà che sa tradurre in efficienza; se non si trova in un contesto che lo spinge a snaturare la sobrietà del suo gioco può rivelarsi un pezzo davvero importante. Sicuramente non gli si potrà mai chiedere di essere un trascinatore in attacco o una macchina da punti (in 396 partite il career high è di 32 punti), ma abbinato ad una paio di esterni realizzatori, come il neoarrivato Stephen Jackson ed il martoriato Redd (“coperto” dal buon Salmons), potrebbe esserne il complemento ideale. Resta da vedere se Jennings sboccerà come playmaker di squadra (soluzione consigliatagli dalle sue stesse macabre percentuali al tiro) o continuerà a tentare 15 tiri a partita senza scollinare i 5 assist di media. Intendiamoci, non che Brandon non sia un buon giocatore, o meglio, non abbia un buon potenziale, ma forse in un contesto come quello dei Bucks (e con un coach come Skiles) se rinunciasse a qualche tiro, la percentuale di vittorie potrebbe migliorare

 

 

Capitolo tiri liberi. Come ogni lungo poco avvezzo al jumper, ma con preferenza per ganci, semiganci, schiacciate ed affini, i liberi di Bogut tradiscono (v. anche Shaq o Howard, ma non Jabbar) una parabola piuttosto piatta, non tanto dovuta alla mancanza di spinta delle gambe (che sarebbe un motivo valido per un giocatore sotto i due metri, ma non per un centro), piuttosto per l’uso della leva spalla/gomito che resta bassa, senza alzarsi troppo sopra la fronte; il risultato è un tiro piuttosto teso che, come vedremo a breve, se tocca il ferro, tende a piccoli rimbalzi in avanti verso il tabellone (se avesse più parabola, rimbalzerebbe maggiormente…).

Nel complesso, il movimento è decisamente armonico, se paragonato ad altri lunghi “sassaioli”: la routine di ricezione-un palleggio-piegamento schiena e gambe, è molto “automatizzata” (traccia di un allenamento specifico) e senza movimenti superflui; l’alzata della palla, la posizione dei piedi (perpendicolari al tabellone) delle braccia e delle mani, non tradiscono nulla di anomalo (soprattutto per essere un centro); poi, però, la spinta con il braccio, marcatamente verso il ferro più che verso l’alto, è già presagio di un tiro quantomai rischioso. Lo sconsolante 44% racconta il resto.

 

 

 

 

OFF TOPIC: DUE NOTE SU DUE GIOCATORI

 

– Per completezza d’attacco Joe Johnson è forse la guardia/ala (intorno ai 2 metri) più versatile: sia triple (nonostante l’interlocutorio 29,7% di quest’anno) che mid-range, sia isolamenti che gioco senza palla, sia catch n’ shoot che tiri dal palleggio, sia attacco frontale in penetrazione che post up… non è nè sarà un MVP, ma nel complesso la sua duttilità lo fa risultare un signor realizzatore: più atletico di Pierce, più tiratore puro di Kobe, miglior post up di James e miglior jumper di Wade, ha più “fisico” di Roy quando si tratta di cercare gloria nel pitturato, più concreto di Carmelo (v. palle perse), più offensivamente poliedrico di Martin (v. post up)… spesso lo si svaluta perché lo si “traduce” nel suo stipendio ed i conti non tornano; ma resta una goduria vederlo giocare in attacco.

 

Anthony Morrow, sleeper da non sottovalutare: difesa impegnata ed attenta (soprattutto per essere un cecchino), mentre in attacco, pur avendo molti punti nella mani, niente forzature, consapevolezza del proprio ruolo, ma senza “scadere” nella passività; capacità di mettere palla a terra e buon mid-range jumper, anche dal palleggio (abilità da non dare per scontata). Il classico giocatore che rende in modo direttamente proporzionale alle sue responsabilità (offensive): potrebbe esplodere e collezionare ventelli (difficile però con Williams e Lopez in squadra…) o essere il tiratore che “mette una pezza” quando il resto dell’attacco non gira, la terza bocca da fuoco che disimpegna le altre due… da tenere d’occhio.

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