[Giugno 2011] Al termine di una serie di playoff, le statistiche aiutano ad individuare punti deboli e settori da migliorare in vista delle partite seguenti; dopo le Finals non c’è un seguito, ma i numeri restano perentoriamente a testimoniare l’epilogo di un’intera stagione e le gesta delle ultime due squadre rimaste ancora in gioco.

In tutta la loro sibillina sintesi ed ambiguità, le statistiche possono far vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, possono scovare ciò che sfugge al semplice scoreboard finale e, talvolta, sanno anche focalizzare fattori che, osservando la partita solo con le immagini, restano nell’ombra pur essendo determinanti.

Ad esempio, è solo nel secondo quarto di Gara 6, per la prima volta in tutte le Finals, che i Mavs hanno avuto un vantaggio in doppia cifra; quanto meno inusuale per una squadra che aveva già vinto tre gare: inequivocabile sintomo di una serie molto equilibrata.

Non a caso, la media punti a partita nelle Finals recita: 94,7 Mavs contro 92,3 Heat.

Percentuale dal campo? Quasi identica: 45,1% Heat e 45,4% Mavs… e da 2 hanno addirittura tirato meglio gli Heat: 49,4% contro 47,1%.

La (lieve) differenza sul punteggio totale è stata dunque dovuta alle triple ed ai liberi.

EQUILIBRIO RISOLTO DALLA SHOTCHART

Capitolo triple: le 130 triple tentate dagli Heat sono il secondo più alto quantitativo in una finale di 6 gare, dopo le 137 “osate” dai Bulls 2006, ma le 51 insaccate (su 124) dai Mavs sono primato assoluto, complice un allibente 41%.

Gli Heat, dal canto loro, non hanno “di fabbrica” un tiro da tre parimenti affidabile, in fatti nei playoff si sono comportate così (media a partita):

vs Philadelphia 5,6 su 19,4 (28,9%)

vs Boston 6,2 su 18 (34,4%)

vs Chicago 4 su 11,6 (34,5%)

vs Dallas 7,5 su 21,7 (34,6%; ricordando che James Jones non è mai sceso in campo ed House ha giocato solo 24 minuti complessivi e solamente in Gara 5 e 6…)

Per la cronaca, Dallas contro Miami ne ha segnata in media una in più tirandone una in meno: 8,5 su 20,7.

 Capitolo tiri liberi: Dallas è riuscita ad annullare un punto di forza dell’attacco degli Heat, che spesso gli consentiva la vittoria bilanciando percentuali dal campo non lusinghiere: la quantità di tiri liberi tentati.

Nelle Finals sono stati in media 25,8 i liberi tentati dai Mavs e 24,7 quelli dagli Heat; soprattutto considerando come il 70.9% degli Heat sia ben lontano dal 78,1% Mavs, si può dedurre facilmente come i liberi siano risultati un fattore di vantaggio per Dallas e non, come solitamente avvenuto nei playoff, per Miami.

Inaspettatamente per loro, gli Heat hanno inoltre faticato a realizzare con buone percentuali dal pitturato (escludendo le soluzioni direttamente al ferro); se  ciò appare ragionevole contro difese arcigne e ben rodate come quelle di Celtics e Bulls, appare inspiegabile come la difesa dei Mavs sia riuscita ad abbassare ulteriormente l’efficacia dell’attacco di Miami da quella zona, precipitandola ad un interlocutorio 31%. Diamo un’occhiata ai dati del prezioso StatsCube di Nba.com:

 

 

Senza un buon vantaggio di tiri liberi, spinti a tentare molto dall’arco ed imprecisi dal pitturato (entrambi meriti di Chandler e della difesa zona usata ad intermittenza?), agli Heat non restava dunque che spiegare ai Mavs la differenza fra la loro difesa e quella di Blazers, Lakers e Thunder…

 

 

TRIONFO DELL’ATTACCO?

L’Offensive rating (punti segnati per 100 possessi) dei Mavs nei Playoff ha toccato la vetta di 112,9 che, superando d’un soffio il 112,8 di L.A. dell’anno scorso, è la prestazione più elevata registrata fra i campioni degli anni 2000. Il Defensive rating di 106,3 è invece il terzo peggior dato degli anni 2000 (dopo il 107,5 di L.A. nel 2000 ed il 108,6 sempre di L.A. nel 2010).

Qual’è il DNA di un attacco così efficiente e quale è stato invece lo stile offensivo degli Heat? Ci risponde il pregevole SynergySports:

 


 

 

Il 27,5% dell’attacco dei Mavs ha avuto come esito tiri piazzati (spot up) che hanno fruttato più di un punto per possesso (PPP), indubbiamente il tipo di tiro che meglio simboleggia l’attacco dei Mavs. Da notare come per quanto riguarda la transizione ci sia stato equilibrio fra Heat e Mavs, sia per quantità che per rendimento (l’avreste detto?), mentre nel caso degli isolamenti, all’equilibrio quantitativo (altra sorpresa) non corrisponde una somiglianza di efficacia, che protende a favore di Miami. Può inoltre stupire come i Mavs abbiano fatto un uso assai moderato delle uscite dai blocchi (off screen), addirittura identico a quello degli Heat (3% dell’attacco) pur capitalizzandoli egregiamente (1,16 PPP contro 0,74 degli Heat).

Gli unici dati quantitativamente divergenti in modo consistente fra le due squadre sono l’uso dei tagli (cut) nettamente preferito da Miami e quello della “presa di posizione” (post up) più utilizzato da Dallas (sebbene entrambe le categorie non superino mai l’11% dell’attacco complessivo).

 

Retrospettivamente, diamo adesso un’occhiata a come le due squadre si sono comportate in attacco ed in difesa, nei turni precedenti e poi alle Finals:

 

MIAMI

Offensive rating pre-Finals: 107,2

Finals: 103,3 (-3,9) Contro ogni prevedibilità, l’attacco Heat ha sofferto la difesa Mavs più di quelle temibili affrontate in precedenza.

Defensive rating pre-Finals: 101,7

Finals: 107,1 (+5,4) La difesa Heat non aveva ancora affrontato un attacco del genere…

 

DALLAS

Offensive rating pre-Finals: 114,4

Finals: 107,1 (-7,3) Dallas ha chiaramente dovuto fronteggiare una difesa più agguerrita di quelle precedenti.

Defensive rating pre-Finals: 106

Finals: 103,3 (-2,7) Meno scontato era che la difesa Mavs riuscisse a difendere meglio sugli Heat che sulle altre avversarie…

 

 

FACCIAMOLA GIRARE…

Per canestri realizzati su assist (indice di quanti “assoli” e quanta “coralità” ci sono in un attacco), Heat e Mavs erano, prima delle Finals, diametralmente opposti; tuttavia nelle 6 gare conclusive c’è stata una simbiosi fra i due team:

– i Mavs si sono attestati al 55% su assist contro gli Heat, mentre prima delle Finals sfioravano il 60%

– gli Heat hanno fatto registrare un ottimo 59% contro Dallas, ben diverso dal 47% in cui ristagnavano prima delle  Finals…

Vi state chiedendo qual è la percentuale di canestri segnati su assist (nei playoff) delle ultime squadre regine dell’Nba? Ce l’abbiamo:

 

DAL 2011 58,4%

LAL 2010 52,6%

LAL 2009 51,8%

BOS 2008 64%

SAS 2007 56,3%

MIA 2006 50,1%

SAS 2005 53%

DET 2004 61,9%

SAS 2003 61,2%

LAL 2002 54,9%

LAL 2001 59,6%

LAL 2000 58,4%

SAS 1999 67,4%

CHI 1998 60,1%

CHI 1997 64,6%

CHI 1996 60,9%

HOU 1995 65,3%

HOU 1994 68%

 

 

BEN FATTO RICK!

Larry Brown e Jerry Sloan hanno abdicato durante l’anno, Rick Adelman e Phil Jackson a fine stagione; ricordiamoci anche che l’anno scorso si congedarono Dunelavy e Nelson, e possiamo indubbiamente concludere che c’è una ventata di giovanile novità sulle panchine Nba. Con più di 1000 partite sulle spalle, restano solo Popovich (Duncan-dipendente), Saunders e Karl (entrambi in scenari non esaltanti, almeno nell’immediato).

 

Carlisle raggiungerà le 800 partite allenate il prossimo anno, ma intanto ha già raggiunto la vetta della gloria Nba, ricordando che un coach, oltre a fare il motivatore per i giocatori ed il PR con la stampa, deve innanzitutto guadagnarsi lo stipendio allenando: mettendo mano alla lavagna, studiando con il suo staff gli avversari e facendo proficui aggiustamenti durante la partite. Vincere contro un avversario potenzialmente devastante partendo da un talento diluito e differenziato in molti giocatori, richiede saperne ottimizzare la gestione ed il rendimento; in poche parole: richiede un buon coaching. E così è stato.

 

I tre principali esempi della maestria di Carlisle, in tre differenti ambiti, potrebbero essere: il cambio del quintetto nelle ultime tre gare (promuovendo Barea nello starting five) e l’uscita dalle rotazioni di Stojakovic; l’impostazione del pick n’ roll con lo stagger screen (doppio blocco) per contrastare l’hedge  difensivo degli Heat; l’uso ragionato della difesa zona, vera new entry epocale in una Finale Nba (difesa già ben rodata dai Mavs in regular season: erano la squadra che la usava di più, circa nel 10% dei casi, ma va notato come la seconda, Portland arrivasse solo al 5%…).

 

 

FUTURO

 

L’anno prossimo a Dallas torneranno Beaubois (a dare fiato a Kidd e Terry) ed una pedina fondamentale come Butler; se gli altri (Haywood incluso) restano in salute, perché non dovrebbero sognare il repeat?

È vero che la fame che avevano quest’anno è stata placata nel migliore dei modi, e quando dei veterani vincono il titolo possono accusare un “fisiologico” calo di ambizione, ma se l’essere i campioni in carica fungerà invece da motivazione ed il coach li spronerà a dovere, hanno tutte le carte in regola per tentare una doppietta.

 

E gli Heat? Simpatici o antipatici che fossero, va ricordato che erano una “squadra rookie”, nata ex novo da un drastico reset ad inizio stagione, per cui sia la chimica di squadra, sia (palesemente) il playbook, erano totalmente work in progress (o in fieri se preferite il latino); ciò nonostante stiamo parlando dei campioni dell’Est, che hanno mandato a casa prima i finalisti dell’anno scorso e poi la squadra dell’Mvp Rose, senza mai aver bisogno di una Gara 6… e proprio escludendo Gara 6 delle Finals, le altre tre sconfitte sono scaturite all’ultimo minuto.

Tutto ciò al loro primo anno: come si può parlare di “delusione”? Consiglierei dunque ai tifosi Heat di non abbattersi e di considerare piuttosto i margini di miglioramento, o meglio, di maturazione della loro squadra… intanto, che l’Olimpo cestistico dia il benvenuto ai Mavs e, finalmente, a Nowitzki e Kidd.

 

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