[Febbraio 2009] Ci sono “patrimoni dell’umanità” (in senso cestistico) che non possono essere tradotti in numeri; la qualità della lettura difensiva di Duncan in post basso, il connubio tra genialità e tecnica nei passaggi di Kidd, la sapienza gestionale con cui Billups rende quasi superfluo lo stipendio del suo allenatore di turno… sono alcuni degli esempi per i quali non esiste un coefficiente, un dato quantitativo, una statistica. Cercarne una descrizione numerica è tanto vano quanto il cimentarsi nel quantificare la bellezza di una delle otto meraviglie del mondo (l’ottava, per chi non ne è stato avvisato, è il playbook di Jerry Sloan; leggende narrano che non raffiguri un campo, ma una scacchiera…). Eppure, c’è sempre stato un versante statistico della pallacanestro oltreoceano, versante che è diventato sempre più accessibile in parallelo alla diffusione capillare del Web.
[flashback: una quindicina di anni fa non era proprio possibile conoscere la stima dei possessi di un giocatore, neanche telefonando al suo agente, al suo commercialista, o a lui in persona…].
Attualmente, per i numerofili, per coloro che seguono con più apprensione l’oscillamento dei punti a partita di James che l’andamento delle proprie finanze, la rete fornisce dati e minuziosità a bizzeffe, al punto che coloro, nostalgici o semplicemente poco familiari con la matematica, che si basano al massimo sull’originario “pentagramma” (punti, rimbalzi, assist, stoppate e recuperi) rischiano d’essere tacciati di “ingenuità”. Tuttavia, senza timore di smentita, la pallacanestro è anche, se non soprattutto, una questione di contingenza, di gioco al di là dei numeri, di sudore e di tutto quello che vediamo negli spot “Where amazing happens”.
Se, da un lato, le statistiche, seppur approssimate “alla buona”, finiscono col pesare sull’opinione che ci si fa di un giocatore (la differenza tra Dwight Howard e Andrew Bogut non è una questione di 4 minuti in meno di permanenza in campo…), dall’altro, guardare un referto dettagliato non è certamente paragonabile al godersi una partita, anche se in differita, in bianco e nero, su uno schermo da 7 pollici, con i vicini che stanno provando l’Home Theatre “a palla” (giusto per restare in tema). Si tratta dunque di cercare una soluzione diplomatica (oltre che con i vicini) tra i dati e i fatti, per potersi giostrare tra i due volti del basket, quello sul campo e quello su carta (è meglio per ora lasciare in sospeso quello su scacchiera di Sloan…), tra la giustizia divina invocata dal «Ball don’t lie» («la palla non mente») di Rasheed e l’efficiency rating del fantabasket; una dicotomia che, come una sorta di yin e yang, scandisce il rimbalzare degli occhi degli appassionati Nba tra il campo ed il referto da taccuino [lo so che avete notato quel «don’t»… a scuola c’hanno insegnato l’uso del «doesn’t», ma sui parquet americani la grammatica è un’opinione, come l’infrazione dei passi…].
Dopo esser rimasto ammaliato dall’universo numerico di basketball-reference.com e, soprattutto, dai prodigi statistici di 82games.com (oltre alle “basilari” stats di nba.com), ho ponderato alcune “istruzioni per l’uso” che distruggano tanto il fascino esoterico dei numeri in questione, quanto il rischio di lasciarsi prendere la mano da virtuosismi statistici; d’altronde, il risultato di una partita resta una serie di semplici addizioni: la squadra che ottiene la somma complessiva più elevata ha vinto (quindi nulla che richieda calcoli da laurea in statistica). Tuttavia, nonostante l’apparente semplicità numerica del Gioco, l’intrigante opportunità di vivisezionare i meccanismi che concorrono a questa somma non alletta di fatto solo gli assistent coach Nba, ma anche alcuni appassionati che, per meglio comprendere gli ingranaggi del basket a 360°, non si accontentano più solo d’ammirare una planata sopra il ferro o l’highlight da Top10.
Ecco quindi, in breve, direttamente dall’ipotetico “libretto di istruzioni” delle stats, alcuni dei principali “assiomi” della numerologia cestistica; sia chiaro, nulla di nuovo, ma è sempre bene ricordarli:
I. Una statistica dice, né più né meno, solo ciò che dice.
No, non ho appena scoperto l’acqua tiepida… si tratta chiaramente di una tautologia, ma chi di noi, magari in preda al furore di un’accesa discussione “da bar”, non ha mai ceduto alla tentazione di confondere “rimbalzi, recuperi e stoppate” con “difesa”? L’ultimo premio di Difensore dell’Anno, portato a casa dal signor KG, dimostra che gli addetti ai lavori d’oltreoceano ne sono ben consapevoli: la statistica quantifica esclusivamente un aspetto tra i molti disponibili, ed altrettanti restano intraducibili, riscontrabili solo guardando il Gioco. Per cui, per restare all’esempio, i rimbalzi a partita non indicano di certo la costanza nell’andare a rimbalzo, la puntualità nell’eseguire tagliafuori ai limiti del sequestro di persona, il saper intuire dove andrà un rimbalzo, come se si fosse già vista in Tv la partita che si sta giocando (si, ora sto parlando di Rodman…), così come il numero di assist non indica esattamente la capacità di un play di gestire il gioco coinvolgendo i compagni (si, ora sto parlando di B. Davis…). Considerare una sola statistica è quindi come citare l’aforisma di un Bacio Perugina: fuori dal contesto di appartenenza può significare tutto e niente.
II. Le statistiche descrivono il passato, non prevedono il futuro.
Le statistiche guardano indietro, fanno “una foto in numeri”, non fanno proiezioni, prevedendo (tipo exit poll delle elezioni) cosa succederà e quanto succederà; è indubbiamente possibile impiegarle per delineare un trend, ma di conseguenza finiscono con il sacrificare per tale ambizione prospettica tutta la loro efficacia, basata proprio sul tracciarsi dopo che è calato il sipario. Il paradosso temporale delle statistiche è che non sono mai esattamente sincroniche al discorso che le chiama in causa, parlano sempre dell’ultima partita (conclusa), o di ciò che è successo fino all’ultima azione di una partita in corso, ma sono pronte ad essere sensibilmente alterate dall’evento successivo (altra partita o altra fase di gioco).
L’aspetto affascinante, oltre che la loro utilità per chi ci lavora (?!), è piuttosto la capacità analitica con cui aiutano a comprendere ciò che è accaduto: guardando una partita si può infatti avere un’impressione, notare qualcosa… ma è pur sempre una partita sola; per poter verificare se si tratta effettivamente di una novità o invece di una caratteristica abituale, un’occhiatina ai dati complessivi delle “puntate precedenti” non guasta mai… un esempio: guardando una partita dei Warriors ad inizio anno, ha avuto l’impressione che, con l’assenza del Barone (v. sopra), la palla circolasse in modo più corale dell’anno scorso, che ci fossero meno “assoli” (in numeri: più canestri su assist); tuttavia, dopo aver visto l’apposita statistica (Warriors inchiodati nella parte bassa della graduatoria assist/canestri: non ricordo bene se ultimi o penultimi, fino a quel momento) ho capito che ero stato invece fortunato spettatore di una delle rare partite in cui S. Jackson faceva tanti assist quanti tiri tentati e la squadra, in generale, attaccava in 5.
III. Le statistiche sono come un oracolo: vanno interrogate ed interpretate.
Per una migliore lettura dei dati è sempre meglio, seppur talvolta laborioso, “incrociare” le statistiche. Esempio banale: considerare esclusivamente i punti a partita, senza valutare le differenti percentuali realizzative, il minutaggio, i possessi giocati, l’apporto offensivo dei compagni di squadra… non è molto utile per inquadrare l’effettivo impatto del giocatore nell’attacco della squadra. Come detto sopra: i punti a partita indicano solo i punti a partita.
D’altronde, dipende da quello che si chiede alla statistica in questione: nessuno va dal panettiere a comprare bulloni; e se ci prova, il sagace fornaio non ha colpa nel suggerirgli (in stile McGyver) di ricorre all’essiccazione di piccoli biscotti col buco in mezzo; ma non è certo la stessa cosa… ugualmente, se ci incuriosisce l’efficienza di Przybilla a rimbalzo, non dobbiamo rivolgerci alla sua non impressionante media-rimbalzi a partita (poco meno di 8): è più indicativo considerare anche i miniti (circa 22), il numero di possessi dei T-Blazers (inarrivabile 86,1) e la compresenza con altri rimbalzisti [per la cronaca: il combattivo Joel è di fatto quinto per rimbalzi al minuto nella lega, nonostante una squadra che è ultima per possessi giocati; non a caso, è primo nel rating dei rimbalzi secondo gli autorevoli criteri di 82games.com; qui non c’è molto da interpretare…].
IV. La legge è uguale per tutti (…); i possessi no.
Stavolta iniziamo dall’esempio: siamo nell’anno 1995, i Cleveland Cavs di coach Mike Fratello chiudono la stagione concedendo 89,8 punti agli avversari (i secondi in classifica erano i Knicks con 95,1: la differenza, + 5,3 , è eloquente, soprattutto considerando che a NY la difesa dell’epoca era ospitale come un campo minato di notte…). Meno di novanta punti, con la seconda già oltre i novantacinque, quando la media era 101,4 punti… errore di stampa? O solo una questione di possessi? Anche ai nostri giorni capita spesso di sentire o di leggere apprezzamenti sulla difesa di una squadra che «tiene gli avversari a soli x punti per gara». In fondo, si tratta di un dato che non dice chiaramente quello che promette, o meglio, si tratta ancora del panettiere a cui sono stati chiesti dei bulloni e che risponde come può… i possessi di Cleveland erano infatti il minimo: 84,8 (credetemi, anche qui, niente errore di stampa); passando a considerare la percentuale concessa, i Cavs erano 13esimi (su 27, nulla di miracoloso), e nella graduatoria per minor punti concessi per possesso, gli impenetrabili Cavs si piazzarono ad una buona, ma più “umana”, terza posizione (primi furono i suddetti inospitali Knicks…).
L’anno scorso i Celtics furono secondi per punti concessi, ma solo 19simi (su 30) per possessi, ed inoltre primi per minor percentuale dal campo concessa e primi per minor numero di punti concessi per possesso; già a prima vista, la situazione è ben diversa rispetto ai vecchi Cavs: se si vuol valutare lo spessore difensivo di una squadra, e questa concede la percentuale minore ed il minor numero di punti/possesso agli avversarsi, il valore assoluto dei punti subiti, seppur ridotto, diventa un optional. Chiaramente, lo stesso discorso potrebbe essere fatto per l’attacco.
La morale della favola è che (opinione mia) soprattutto nelle statistiche di squadra, ma non solo, siano da privilegiare i valori “relativi” (punti per possesso) e/o in percentuale (% concessa dal campo), rispetto a quelli “assoluti” (inevitabilmente vincolati al numero dei possessi; come i punti subiti). Resta comunque da considerare, a riprova del non-poter-dir-tutto dei numeri, l’assenza di una statistica, ad esempio, che descriva la capacità delle rotazioni difensive di essere così ben orchestrate da far sembrare un 5 vs 5 un 5 vs 6; e ciò spesso fa la differenza…
Tuttavia, restando alle statistiche difensive, forse la più indicativa è il suddetto rapporto punti concessi per possesso, ma… come non considerare anche il numero di palle perse provocate? E quello dei rimbalzi offensivi/seconde opportunità concesse? Ancora una volta, ci tocca fare i conti con la limitatezza della statistica, anche se ben scelta; come dire: se proprio cerchiamo dei bulloni, forse l’idraulico è pur sempre meglio del panettiere…