[Aprile 2011] Anche in Nba si sentono spesso “verità assolute”, unanimemente accettate e consolidate vox populi col passare del tempo; ma proprio lo stesso tempo, facendo ciò che gli riesce meglio (cambiare le carte in tavola) può subdolamente trasformarle in stereotipi ingannevoli, o addirittura “falsi miti”.

Un caso potrebbe essere la reputazione delle doti difensive di Artest.

 

Quest’anno, molti hanno notato un calo delle sue cifre, tuttavia, non solo è risaputo come l’impatto degli specialisti difensivi sia estraneo alla quantificazione statistica ma, considerando il calo dei possessi di squadra e la diminuzione dei minuti in campo, l’Imp% ci dice che l’oscillazione del suo impatto è stata minima: dal 31% dell’anno scorso all’attuale 30%. Per cui, ora che siamo alle porte del suo territorio di caccia preferito, i playoff, è lecito aspettarsi ancora che Ron risulti decisivo per i Lakers.

 

Per non peccare di blasfemia è bene chiarire che qui non si discute dell’Artest “storico”, ma esclusivamente di quello in maglia Lakers, il più recente, quello che ritroveremo negli imminenti playoff. E non di Artest nel suo complesso (cestistico; agli altri ci pensa la psichiatra…), ma solamente della sua difesa. Notoriamente, il suo pezzo forte, quello che ora è “certificato” da un anello Nba.

 

Ad esempio, al primo turno dell’anno scorso contro i rampanti Thunders, le percentuali basse di Durant (35% dal campo e 28,6% da tre), sono state ascritte alla prodigiosa custodia riservatagli da Artest… Eppure, quante volte le basse percentuali di un attaccante sono merito dei prodigi del suo diretto difensore e quante volte invece non è solo una questione di marcatura individuale (difesa di squadra, giornata negativa al tiro dell’attaccante)?

Consideriamo en passant un emblematico caso recente: l’1/18 al tiro di Bosh contro i Bulls, riassunto in questo video… egregia prestazione difensiva del trittico Boozer/Noah/Gibson o la causa è anche un’altra? Chris, su 17 tiri mancati ha subito una sola stoppata ed ho contato solo 3 o 4 tiri su cui la difesa ha avuto un’influenza decisiva, gli altri errori sono imputabili più a fattori contingenti che all’ottimo lavoro del marcatore…

 

Ma restiamo su Artest. Un antefatto che l’anno scorso consolidò ad L.A. il mito di Artest super-difensore è stato il duello contro Anthony, in regular season. Anche stavolta facciamo prima “parlare” il campo; “ascoltiamolo” con questo video:

 

 

Da notare: pronto aiuto dei lunghi e strong side zone perpetua hanno coperto le spalle di Ron sia in caso di difesa troppo frontale, sia qualora venisse saltato in palleggio; dal canto suo, la marcatura di Ron è stata spietatamente fisica (e sempre pronta a recite hollywoodiane in caso di reazione dell’attaccante), con mani sveglissime e posizione inamovibile nella difesa spalle a canestro. Già qui ci sono tracce di tutti i pregi ed i difetti della difesa di Ron (li vedremo meglio in seguito).

A giudicare da questo video, Carmelo è stato penalizzato dal non aver un gioco senza palla adeguatamente dinamico, basandosi troppo sul post up, sul piazzarsi sigillando il difensore per ricevere spalle a canestro; scelta che con Artest non premia quasi mai, anche perché Carmelo non ha un grosso vantaggio di lunghezza-leve nei confronti di Artest, che infatti gli devia o addirittura recupera molti entry pass. Sommiamo a questo un ball-handling non ottimale (ma in fondo non può mai esserlo con Artest nelle vicinanze) e ci spieghiamo la bassa incisività di Carmelo: già di natura predisposto alla palla persa, ne ha avute in abbondanza quella sera ad L.A., collezionando anche falli offensivi di frustrazione che lo hanno portato ad uscire per falli.

 

Per dare un’occhiata più analitica all’arte di Artest, ripercorriamo ora alcune gare chiave dell’ultima post-season, tutte quelle che hanno sancito il passaggio di turno per i Lakers. Partite cruciali e quindi molto motivanti per lui (aspetto importante), ben preparate (essendo le ultime della rispettiva serie) e contro avversari ben conosciuti nelle gare precedenti.

Ecco dunque il defensive video scouting di: Gara6 vs Thunder (l’epilogo contro Durant), Gara4 vs Jazz (l’ultima dello sweep), Gara6 vs Suns (decisiva per l’accesso all’ultimo turno), Gara7 vs Celtics (La Finale).

Testeremo quindi la difesa d’Artest in contesti eterogenei e contro attaccanti molto differenti, sia fisicamente che tatticamente: un’esile guardia tiratrice alta 2.06 con il vizio di insaccare trentelli (Durant),  un attaccante poliederico ed atletico seppur “secondario” come (C.J. Miles), uomini d’angolo e da linea di fondo (Richardson e Dudley), infine il go-to-guy in ala piccola per definizione (Paul Pierce).

 

 

Iniziamo dai Thuner. Prima di saltare subito a Gara6, restiamo focalizzati su Artest vs Durant nell’osannato duello d’esordio e diamo con calma un’occhiata a questo video (l’audio è difettoso, consiglio d’abbassare il volume o mettere il muto):

 

 

 

 

La trama generale mi sembra sia questa: Artest marca forte Durant appena questi entra nella metà campo offensiva, lo bracca ignorando la posizione della palla: lato forte o debole, gli resta comunque appiccicato, lavoro di concentrazione e di gambe notevole. Poi solitamente arriva un blocco per Kevin e il fisico massiccio di Artest non gli consente di sgusciare lasciando a Durant la ricezione in gran parte dei casi; anche perché restandogli costantemente addosso, spesso tentando l’anticipo, è inevitabile che non abbia lo spazio per passare sotto o in mezzo ai blocchi, finendo con il dover inseguire i tagli-e-curl di Durant (incassando anche un paio di back-door niente male…). Successivamente Ron cerca di “sporcargli” la palla con le sue mani rapide, ma, se non vi riesce, Durant può salire al tiro indisturbato (con Ron che può solo guardare dal basso) o mettere palla a terra, scavalcando con la lunga falcata Artest sin dal primo passo; specialmente le poche volte che Kevin ha portato palla personalmente oltre la metà campo, questa disinvoltura nel seminare Artest è parsa evidente.

Per fortuna della difesa losangelina arriva in aiuto quasi sempre un sette piedi a chiudere (Bynum o Gasol che sia, non è mai un bell’affare neanche per l’ex top scorer della lega). Delle volte, appena Kevin fronteggia Ron palla in mano, sembra, dalla posizione angolata del corpo di Ron, è palese come il difensore voglia appositamente mandare Durant verso l’aiuto del lungo (il cosiddetto shading)… buona strategia, ma è sintomo di come (neanche) Ron non possa concedersi il lusso di badare a Durant in single coverage.

 

Se quindi, come mostrato dal video, a Durant bastava quasi sempre un blocco per ricevere, un primo passo per saltare il difensore o era sufficiente andare in sospensione per avere un tiro senza troppo disturbo, quale è stato il lavoro di Artest? Di sicuro gli ha impedito di riceve liberamente in situazione di isolamento; indubbiamente non si è fatto spostare quando Durant tentava il gioco spalle a canestro; gli ha toccato e deviato diversi palloni; lo ha innervosito con la sua pressione ed i continui contatti (tre falli su KD per tentare un recupero ed un fallo in situazione di tiro…); insomma, un buon lavoro, che dovrebbe essere tuttavia ordinaria amministrazione per uno dei migliori difensori della lega di fronte ad un ventunenne alla sua prima partita di playoff in carriera.

 

Diamo adesso un’occhiata a cosa è successo nell’ultimo episodio della serie, in Gara6 contro i Thunder (Artest è individuabile da una “manica” bianca sul braccio sinistro):

 

 

Copione tattico simile a quello di Gara1, per cui direi di “dare ad Artest quello che è di Artest” senza però esagerare con gli elogi a Ron, sia perché la combattività ed il gioco lontano dalla palla di Durant sono stati notevoli, sia perché la difesa di L.A. lo ha supportato egregiamente (sia perché, concedetemelo, i duelli Battier vs Bryant sono a tutt’altro livello di tecnica, intensità ed efficacia difensiva…).

Il plauso per le cattive performances di Durant trova infatti la sua causa anche nella organizzata difesa collettiva dei Lakers:

– Bynum chiudeva sempre puntualmente costringendo Kevin ad alzare la parabola o subire la stoppata,

– Fisher era sempre pronto a staccarsi da Westbrook per “flottare” su Durant,

– Gasol abbandonava il suo uomo non appena questi bloccava Artest, per uscire ed anticipare l’eventuale passaggio per Durant prima di tornare sul proprio uomo (show and recover),

– quando Durant fronteggiava c’era spesso un lungo ad attenderlo “a zona” sotto canestro (strong side zone)

– quando Durant era in situazione di pick n’ roll il lungo avanzava fuori dal blocco (hedge) per tagliargli la strada e per dare ad Artest il tempo di recuperare…

Artest ha sporcato un paio di possessi trasformandoli in palle vaganti o rimessa per i Thunder; ha fatto bene il suo lavoro, ma forse il suo impatto determinante è stato più a livello mentale, braccando Durant fino ad otto metri dal canestro e mettendogli le mani addosso, ai limiti della perquisizione…

Durant indubbiamente ha imbroccato una serie di giornate no al tiro (quanti tiri sbagliati erano un’ottima scelta ed anche ben eseguita?) e la difesa Lakers ha un grosso merito al riguardo; insomma, Ron è stato un attore importante, ma non certo l’eroe risolutivo (diciamo che se Durant si ricorda ancora la difesa di Artest, Artest si ricorda ancora i blocchi di Collison…).

 

 

Passiamo ora a Gara4 contro i Jazz.

l’avversario diretto non era stavolta il fulcro dell’attacco, eppure Ron è stato tutt’altro che impeccabile in difesa (Artest è evidenziato da un’ellisse viola):

 

 

 

Altro finale di serie, Gara6 contro i Suns. Che marcasse Hill, Richardson o Dudley, Artest si è sempre trovato relegato nell’angolo del lato debole, pronto a coprire in aiuto, ma lontano dall’azione principale. Tuttavia, vale comunque la pena notare alcune giocate in cui è stata chiamata in causa attivamente la sua difesa, giocate che ribadiscono, in piccole dosi, quanto già rilevato nei casi precedenti:

 


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Come già ricordato, la presenza di due sette piedi nei pressi del pitturato, evita che l’invito alla penetrazione risulti un’idea malsana come potrebbe essere in altri contesti, per cui Artest non si esime dal fare shading, sia in caso di blocco che di semplice single coverage, soprattutto se ha di fronte un attaccante più piccolo o con piedi più veloci. Per il resto: le solite “mani più veloci del West”, la solita aggressività sull’uomo e sulla palla (con tutti i suoi pro e contro), le solite velocità di piedi e posizione non sempre adeguate (eloquente la giocata d’esperienza di Grant Hill).

 

Ultimo video ed ultimo palcoscenico, quello definitivo: ultima gara delle Finals. Anche in questo stage, Artest mostra pregi e difetti ormai familiari:

 

 

 

VALUTAZIONE

 

Dopo aver visionato tutti i possessi difensivamente significativi delle ultime gare di ciascuna serie giocata dai Lakers negli scorsi playoff, il quadro complessivo della difesa di Artest si presenta così:

buono: rapidità di mani, forza fisica (solidità del taglia fuori, tenuta della posizione e simili…), aggressività, resistenza ai contatti, reattività/riflessi, astuzia;

sufficiente: scivolamento laterale, senso della posizione, concentrazione sull’uomo, lettura del movimento della palla (aiuti e simili…), lettura dell’attaccante (reazione a finte e simili…);

insufficiente: verticalità/elevazione, “freddezza” mentale, superamento dei blocchi

 

Brent Barry che, come dicono in Usa, “ha dimenticato più basket di quanto io ne conosca”, ha trattato tempo fa la difesa di Artest, in questo video (che merita decisamente la visione).

 


Per quello che ci hanno mostrato le immagini dei video precedenti, possiamo sottoscrivere ogni singola parola di Brent: se è vero che Ron tende talvolta a seguire gli attaccanti troppo lontano dal canestro, a marcarli troppo da vicino (facendosi inevitabilmente saltare), a rischiare qualche recupero di troppo, a restare vittima dei blocchi e spesso a recuperare troppo pigramente, è altrettanto vero che ha una reattività di mani fuori dal comune (che lo porta a “molestare” qualunque pallone graviti ad un paio di metri dal suo corpo, anche quelli tenuti saldamente con due mani) e che è abbastanza tosto e resistente fisicamente da vincere corpo-a-corpo anche con gente più alta di lui, senza concedere centimetri di spazio, intimidendoli con bump e contatti ai limiti del sumo.

Come notato anche dagli opinionisti, la velocità di piedi non è più quella di un tempo per Ron, forse adesso non può marcare più anche le guardie esplosive come Wade o quelle che lavorano molto con i blocchi e sul perimetro, ma resta tremendamente adatto a combattere con le ali da isolamento o mid-range game (come Carmelo Anthony o Paul Pierce).

Sarà certamente interessante vedere quale sarà il suo impatto al primo turno contro gli Hornets…

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