In the zone…

August 21, 2011

[Agosto 2010] “In the zone” è un’espressione gergale per indicare lo stato di trance agonistica in cui un giocatore riesce ad usare i suoi “superpoteri” in uno stato di grazia (di disgrazia per gli avversari), segnando a ripetizione anche canestri improbabili.

Tuttavia, è tempo di FIBA World Championship, per cui la zona a cui alluderemo è un’altra: quella difensiva. Da sempre, il principale discriminante tra basket FIBA ed NBA è stata la difesa a zona, il primo elemento che molti di noi avrebbero citato se interrogati sulle peculiari differenze del basket d’oltreoceano. Ormai sono una decina d’anni che il regolamento NBA consente difese a zona, ma la regola che vieta i 3 secondi difensivi pesa comunque non poco sulle possibilità tattiche; fermo restando che la vecchia generazione di coach è un po’ restia verso queste “tattiche all’europea”…

Nelle competizioni internazionali, giocate con regole FIBA, anche i magazzinieri sanno che le nazionali americane non amano attaccare la zona: perché non sono abituate a farlo e perché richiede più buone letture che atletismo allo stato brado; nondimeno, zona o non zona (e con buona pace dei magazzinieri) gli americani possono vantare un palmares internazionale niente male; insomma, tutt’altro che un antidoto.

 

La difesa a zona resta comunque un’arma che il basket del vecchio continente sa di poter usare; proprio per questo nella recente amichevole contro gli USA, la Spagna si è ben guardata dall’usarla: non è il caso di regalare agli americani un allenamento contro la propria difesa a zona, meglio tenerla per la competizione vera… ironico, invece, che proprio sull’ultimo possesso sia stata la nazionale Usa a vincere grazie alla sua prima difesa a zona della partita.

 

Sul sito nbaplaybook.com c’è una esaustiva e sintetica presentazione della difesa a zona (intesa all’americana), in cui l’autore delinea l’identikit delle squadre che possono soffrire o far soffrire la zona. Proviamo ad incrociare questi identikit con il roster del team USA.

 

L’articolo ci ricorda che le squadre che possono faticare contro la zona sono quelle che:

hanno una minaccia in post basso (team USA: Chandler non ha alcuna efficacia in post basso con palla in mano, Odom non sarà a suo agio nel giocare in quella posizione a lungo e con un campo più stretto di quello Nba; forse Love potrebbe essere una buona soluzione interna, ma difficilmente il post basso sarà la spina dorsale dell’attacco Usa)

tendono a “sistemarsi” (dubito che il playbook offensivo risulterà più sostanzioso di quello di Don Nelson… e considerando che sono tutti giocatori abbastanza giovani, oppure, come Billups e Odom, abituati a giocare ben più minuti di quanti ne avranno in Turchia, probabilmente cercheranno di correre il più possibile, anche per capitalizzare il vantaggio atletico).

Fin qui, dunque, gli stati uniti non dovrebbero soffrire molto la zona.
Sempre stando all’analisi dell’articolo di riferimento, le squadre che possono invece mettere in difficoltà la zona sono quelle che:

hanno buoni tiratori (alla squadra non mancano buone mani perimetrali, ma va ricordato che non è gente abituata a tirare dall’arco FIBA; più facile perché più vicino? Non è così scontato; ricordiamoci che in Cina il Redeem Team fu sesto su dodici squadre per la percentuale da tre…)

hanno un giocatore da post alto (potenzialmente Love e Odom potrebbero risultare devastanti in quella posizione)
sono solide a rimbalzo (il divario atletico generale è un buon punto di partenza… inoltre, Chandler ed i già citati Odom e Love sono rimbalzisti da competizione. Agli eventuali scettici, ricordo che Odom è risultato 12esimo per Trb%, e parliamo di campionato Nba…)

amano correre (da sempre il marchio di fabbrica dei teams USA… Iguodala e Gay riempiranno i filmati di highlight e tomahawk…)

Quindi, tirando le somme, la nazionale americana ha le carte in regola per non farsi spaesare troppo dalla difesa a zona. Almeno sulla carta.

 

 

 

FLASH BACK: REDEEM TEAM VS ZONE

 

Facciamo un lungo passo indietro e diamo un’occhiata a come il Redeem Team (che per talento, qualità e responsabilità, era tutt’altra cosa rispetto alla nazionale che sbarcherà in Turchia…) ha fronteggiato la zona nella semifinale olimpica contro una talentuosa Argentina.

Ripercorriamo tutti gli attacchi alla zona in ordine cronologico:

 

contattami per il video: fraccu@yahoo.it


 

 

L’attacco alla zona è decisamente migliorato a vista d’occhio nel corso della partita: partendo da triple a pioggia dopo oziosi passaggi, si è iniziato ad attaccare la difesa dal palleggio, a ribaltare rapidamente e con convinzione, persino a cercare il lungo… anche se la tendenza ad accontentarsi del tiro da tre è stato l’indubbio filo conduttore di tutta la partita.

Una domanda sorge dunque spontanea: la difesa a zona si batte con il tiro da tre (come si sente spesso dire), o concede inevitabilmente il tiro da tre? E se lo concede, perché mai lo fa?

Entrambe le risposte le abbiamo già trovate nel filmato, ma era bene sottolinearle.

 

Da notare le gambe dritte e “scariche” con cui venivano spesso eseguiti i passaggio perimetrali, quasi si trattasse di un allenamento per i difensori… gambe ben diverse rispetto a quelle che si vedevano contro la difesa a uomo. Sarà quindi importante anzitutto l’agonismo che la nazionale riuscirà a tirar fuori contro la zona, al di là delle impostazioni tattiche.

In compenso, come accade con ogni zona (non essendoci chiare responsabilità individuali per il taglia-fuori), il team USA è stato e sarà sempre agevolato a rimbalzo offensivo, come è emerso anche dalle seconde opportunità in prossimità del ferro.

Dal filmato possiamo inoltre individuare alcuni elementi ricorrenti dell’attacco Usa: palla consegnata del play in ala e ricevitore che si accentra (con blocco in post alto) per ribaltare; lungo appostato sulla linea di fondo in post basso per scarichi, lob o back-door; uso assiduo del post alto (talvolta troppo apatico); play in ala che passa la palla e taglia uscendo sull’angolo del lato debole (un altro elemento encomiabile è stato il passing di Kidd, ma lo abbiamo già lodato nel video…).

 

 

Facciamo adesso un passo avanti: la finale Olimpica.

Trattandosi dell’ultima gara, o meglio, de La Gara per eccellenza, in cui bisognava vincere e convincere, possiamo essere sicuri che, anche per come è risultata costantemente equilibrata, coach K non si sia tenuto assi nella manica. L’attacco, dopo la lezione di ripasso con l’Argentina, si è dimostrato un po’ più laborioso ed aggressivo, pur mantenendo inevitabilmente la stessa impostazione base.

In questo video ho isolato tutto i possessi in cui la Spagna ha fatto ricorso alla zona (anche lei sempre la 2-3); diamo un’occhiata:

 

 

Sin dal primo attacco, il team USA si è dimostrato pronto: passaggio in ala del play con taglio ed uscita in angolo debole; creato il triangolo si è cercato di coinvolgere il centro; niente forzatura; circolazione perimetrale ed attacco dal palleggio. Dubbio fallo alla difesa, comunque buona esecuzione.

In generale si sono visti pochi set 3-2 vs zona 2-3 (da manuale: linea dispari vs linea pari e viceversa), anche perché da 4 giocavano spesso James e Anthony ed è stato ragionevole utilizzarli fronte a canestro e con adeguato spazio davanti. Coach K ha optato quindi principalmente per un set 1-3-1 con il post alto e le due ali ad aprire la difesa ed, eventualmente, il post alto si allargava sul perimetro formando un 4-out 1-in (alla Orlando Magic).

Il lungo o l’ala grande sulla linea di fondo raramente hanno cercato il post up (prendere posizione), ma servivano primariamente per scarico su penetrazione o per sorprendere la difesa: notare l’ala grande (James o Bosh) inchiodato sulla linea di fondo (in quello che nel video ho battezzato “base-line-spot”) per stare dietro alla linea a 3 della difesa (v. le due giocate di James da quello spot).

Lo scopo è di aumentare la separazione tra le due linee: la prima a due è indaffarata poiché in inferiorità  numerica nel back-court (3 giocatori USA vs 2 Spagna), la seconda a tre deve restare schiacciata per badare al centro e all’ala grande; si apre così una “zona franca” tre i due allineamenti difensivi, chiamando in causa il vecchio adagio secondo cui, se la zona consente la ricezione tra le linee, è destinata a sgretolarsi (v. due giocate di Prince).

 

Probabilmente in Turchia vedremo tattiche simili con protagonisti differenti: niente lettori/creatori come Kidd, Paul e Deron, ma migliori tiratori puri (e non certo timidi) come Granger, Durant, Billups, Gordon e Curry. Il rischio è che aumentino le triple da early offense e diminuiscano gli attacchi ragionati, quelli che costringono la zona a concedere sempre qualcosa (o almeno a stancarsi…). La versatilità di “lunghi” come Odom e Love risulterà un fattore interessante nel contesto FIBA, così come è da seguire quello che può combinare Durant, ma alla fine dei giochi, l’elemento davvero decisivo potrebbe essere semplicemente la mentalità e la concentrazione con cui il team USA scenderà in campo.

 

 

 

PERCHÉ NON LA 1-3-1?
A questo punto, è il caso di considerare che ci sono altre zone che potrebbero essere usate: oltre alla “inflazionata” 2-3 (certamente la più “ergonomica” rispetto all’area circoscritta dalla linea da 3), c’è la 3-2, usata in Nba perché consente di evitare l’infrazione dei 3 secondi difensivi; è stata avvistata con successo anche la 1-2-2 (duttile e “protezionistica”.), grazie ai “vecchi” Pistons del comandante Flip. Esisterebbero poi anche la 2-1-2 (ormai riassorbita dalla 3-2) e persino la 1-1-3 (meno sciocca di quello che sembra), ma il loro scarso successo storico dovrebbe essere comunque abbastanza eloquente.

Personalmente, propenderei per una 1-3-1.

 

Ecco perché:

– sia i giocatori che lo staff tecnico non sono abituati ad affrontarla: sicuramente hanno familiarità e preparazione (…) per la 2-3 e la 3-2, ma di fronte ad una 1-3-1 sarebbero in grado di approntare, partita in corso, un attacco adeguato? Con quale efficacia?

– la 1-3-1 copre bene il post alto e le tre posizioni esterne; esattamente i 4 punti occupati fiduciosamente dalla zone offense “made in Usa”: difenderli strutturalmente creerebbe non poche incertezze all’attacco statunitense…

– la 1-3-1 è conformata sia per chiudere prontamente il pitturato (ostacolando le penetrazioni atletiche degli americani) sia per portare trap agli angoli e in ala (mettendo alla prova le letture ed il team passing degli avversari, forse non proprio il loro punto di forza).

– la 1-3-1 può essere “allungata” agevolmente per diventare zone-press a metà campo, sempre per infastidire le guardie americane e costringerle a far circolare la palla (il team si è già dimostrato finora “turn over prone”, incline alle palle perse…)

– la 1-3-1 può essere smantellata (anche) con sapiente uso della linea di fondo, ma temo Sloan non sia nel coaching staff (anche contro la 2-3 gli angoli sono stati un po’ trascurati e la linea di fondo interpretata in modo marcatamente statico). Nel roster poi mancano uomini da base-line (escluso Gay) e tiratori specialisti dall’angolo (certo, Iguodala può banchettare in back-door e alley-oops, ma non è detto che risulti sufficiente alla causa…)

 

[Per gli accademici: tenterei una 1-3-1 “point zone” alla Dean Smith, piuttosto che una 1-3-1 trapping alla Beilein, diminuendo così gli spazi per i back-door e garantendo una migliore copertura del pitturato (più presenza a rimbalzo e meno seconde opportunità)].

 

 

Chiaramente, la strada per far vacillare il team USA non può essere solo quella di inibirne il potenziale offensivo; ma contenerne l’impatto con una buona difesa per poi mettere in evidenza le possibili carenze difensive della squadra di coach K, potrebbe sfociare in inediti colpi di scena… già a Pechino il Redeem Team si basò su una difesa fatta più di verticalità che di senso della posizione, più di atletismo che di rotazioni; se poi consideriamo che, difensivamente, Chandler non è Howard, Iguodala non è Wade, Gay non è Bryant, Durant non è James, Granger non è Prince, sarà molto rilevante l’impatto difensivo del collettivo e quanto coach K riuscirà ad organizzare e motivare i suoi ragazzi.

Qualcuno si è sbilanciato nel ritenere gli spagnoli autentici favoriti per il titolo (anche se il recente forfait per infortunio di Calderon non aiuta certo gli iberici) ed in fondo, in attesa del verdetto del campo, a prima vista il team Usa non sembra una corazzata destinata a dominare… favoriti soprattutto per la storia recente e per la maglia che indossano?

 

 

APPENDICE – LE ESTATI DI DURANT

 

Solitamente l’estate è un periodo di “secca” per i giocatori e per tutta la realtà Nba; certo, si materializzano  scambi e privatamente ognuno può dedicarsi ai suoi work-out, ma le quotazioni (e i passi verso la gloria) dei giocatori restano sempre in vacanza fino ad Ottobre.

Durant rappresenta al riguardo una accattivante eccezione…

 

Estate 2007: Durant, prima dell’imminente esordio in Nba, è già pedinato dall’occhio mediatico (capitanato da Nba.com) e protagonista del toto-draft con Oden per chi sarà la prima scelta. Montano le aspettative di vederlo in azione.

 

Estate 2008: fresco indiscusso Rookie of the Year, Durant in quest’estate fa qualcosa (allenarsi?!) che gli permetterà di aumentare le sue percentuali in stagione del 4,6% dal campo e del 13,4% da tre(!) rispetto all’anno d’esordio.

 

Estate 2009: Sam Smith (bulls.com) dichiara, in occasione dell’USA basketball mini-camp a Las Vegas, che tra gli addetti ai lavori (stampa, coaches, GM e affini) sta prendendo piede la convinzione che Durant possa diventare a breve termine migliore di LeBron… Kevin umilmente si dichiara “neanche vicino all’essere bravo quanto LeBron”, ma la notizia fomenta comunque discussioni sul Web…

 

Estate 2010: dopo l’esordio all’All-Star Game, dopo la nomina nel primo quintetto ideale, dopo la corona di miglior realizzatore, dopo esser risultato secondo nelle votazioni per l’Mvp, dopo aver raggiunto i 10 liberi tentati a partita con il 90% (nessuno prima di lui), dopo essere stato l’ottavo giocatore a segnare il trentello di media già al terzo anno (migliorando di 5 punti a partita ogni stagione!), dopo un quieto “sposalizio” con i Thunder… Durant è pronto per giocare i mondiali con addosso l’etichetta di go-to-guy ed ha infatti già salvato la nazionale, in amichevole contro la Spagna, con due stoppate consecutive negli ultimi secondi (chiedere a Rubio e Fernandez).

Se arrivasse anche la consacrazione da leader nei mondiali (con annesso gradino alto del podio), se Durant andrà spesso “in the zone” nonostante le zone che dovrà affrontare, potrebbe risultare l’estate più significativa per il solamente 21enne Durant.

Che la prossima estate si ritrovi anche un Mvp in bacheca?

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