Jim Boeheim ha fede nella sua zona 2-3 e la forgia in allenamenti con 5 difensori vs 7 attaccanti (5 sul perimetro, un post alto e un post basso), rodando la difesa per 20/25 secondi appositamente senza tirare, in modo da installare la giusta capacità di mantenere la concentrazione sui movimenti e sulle posizioni per l’intera durata dell’azione. Tale difesa, a detta del coach, ha come divieti principali il concedere lay up e il permettere triple incontestate; il tiro dal mid-range resta il male minore.
Come risultato, i numeri ci raccontano che, alle soglie delle Final Four, Syracuse è terza per minor percentuale concessa da tre, terza per minor percentuale dal campo, 21esima per meno punti concessi, ma, soprattutto, quinta per stoppate a partita e decima per rubate.
Il primo vantaggio di partenza degli Orange è che le altre squadre, non essendo altrettanto familiari con la zona, sono impossibilitate a prepararsi adeguatamente, perché la difesa che trovano in allenamento è ben differente per efficacia ed affidabilità rispetto a quella degli Orange.
Il secondo vantaggio è anzitutto mentale: gli Orange eseguono spesso la propria difesa con più convinzione e consapevolezza di quanto gli attacchi cerchino di violarne le maglie; la consolidata reputazione difensiva funge da arma per Syracuse: gli avversari devono prepararsi per assaltare la zona 2-3 più accuratamente di quanto la zona debba prepararsi ad “accoglierli” adeguatamente.
L’abnegazione nella preparazione meticolosa di una difesa a zona efficiente rende infatti secondario adattarsi al playbook degli avversari: qualunque siano i piani dell’offensiva avversaria, la zona ha le sue regole che dettano i movimenti dei giocatori, per cui non è affatto necessario approntare una difesa ad hoc, calibrata di volta in volta sullo stile e sulle peculiarità offensive dell’avversario. Gli Orange, continuando ad allenarsi perfezionando un’unica difesa, si allenano a difendere su qualunque squadra, ed in un torneo con avversari eterogenei, questo può fare davvero la differenza (impostazione che diventa più relativa in una griglia playoffs che prevede serie al meglio delle 7 gare; in quel caso è più funzionale personalizzare la difesa sull’avversario di turno; anche se avere una “difesa universale a zona” in faretra non guasta mai, come nel caso dei Mavs nell’annata del titolo).
Nelle ultime 10 partite, gli Orange sono stati sconfitti dai Cardinals e dagli Hoyas: i primi hanno puntato su una partita dal ritmo alto e sulla abilità nel procacciarsi molti tiri liberi (37), i secondi grazie ad un provvidenziale 9/22 nel tiro da tre. In generale, sono proprio queste le armi a cui ricorrere contro una zona apparentemente inespugnabile: alzare i ritmi per non farla schierare, aggredirla per procurarsi viaggi in lunetta e sperare di essere in giornata da oltre l’arco.
Gli Orange, dal canto loro, avranno di conseguenza come obiettivi: lo sprintare in difesa dopo l’attacco, in modo da potersi impostare e non subire early offense; il dissuadere dalle penetrazioni, non aggredendo troppo la palla da vicino, per non farsi saltare col primo passo; per quanto riguarda le triple, è inevitabile che l’attacco ne faccia uso, ma resta possibile condizionarlo in modo che le prenda con disagio, quasi fossero l’unica arma a disposizione. La difesa a zona, sconsigliando isolamenti o simili, tende a spingere l’offensiva a passare molto la palla, aumentando l’incidenza delle palle perse o deviate e, soprattutto, mettendo alla prova la freddezza degli attaccanti nel non spazientirsi, forzando tiri di frustrazione dall’arco.
Per osservare la zona di Syracuse in azione, chiamiamo in causa la sua ultima partita, quella contro Marquette.
Come da manuale, affrontare la prima linea difensiva pari (2) con una linea offensiva dispari (3) consente ai tre uomini “above the break” (sopra il prolungamento della linea del tiro libero) di passarsi la palla, costringendo i due difensori alti a flottare continuamente, ma l’unica soluzione che nasce da questo “ribaltamento perpetuo”, soprattutto se eseguito troppo lontano dal ferro e con gambe troppo dritte, è una tripla, non sempre adeguatamente sensata ed “in ritmo” per essere vagamente minacciosa; da non dimenticare che far muovere la difesa, non è impegnare la difesa.
Diamo adesso un’occhiata ad azioni di questo tipo, badando come l’attacco si sia talvolta accontentato di eseguire passaggi sicuri, cercando il tiro perimetrale, spesso con la complicità di un blocco, affidando le sorti del proprio punteggio alla percentuale dall’arco (nei casi seguenti, solo una volta il tiro è stato scoccato con meno di 10 secondi sul cronometro…):
Forse un tentativo di fiaccare la difesa con continui scatti per adeguarsi alla posizione del pallone (basandosi sull’assioma “la palla viaggia più veloce dell’uomo”), seppure notoriamente, la difesa a zona sia comunque più “a risparmio energetico” rispetto alla uomo; inoltre, sperare che gli Orange siano inefficienti in attacco perché stancati dalla difesa, significa lasciare che sia poi la loro offensiva a decidere la partita, scelta tutt’altro priva di rischi.
Un modo più fruttuoso per affrontare la zona è testarla con le penetrazioni; soluzione che Marquette ha praticato utilizzando due post, o comunque due giocatori interni con lo scopo di “puntellare” i difensori, il che ha favorito la possibilità del penetra-e-scarica sull’arco, consentendo l’esecuzione di buone triple, di fattura ben differente rispetto ai tentativi statici visti in precedenza:
Una criticità per la zona 2-3 può risultare la vulnerabilità alle rimesse, specialmente dal fondo: i Golden Eagles lo hanno dimostrato usando un overload, un “sovraccarico” di giocatori sullo stesso lato (v. linea rossa nel video), garantendo la ricezione, talvolta nel cuore della paint, e costringendo poi la difesa a ri-orientarsi rapidamente, “coreografia” non sempre facile e che talvolta può concedere la tripla sull’angolo nel lato debole:
Un’altra possibile debolezza per la zona, è la mancanza di assegnazioni individuali per il taglia-fuori; ciò favorisce la possibilità di rimbalzo offensivo, specialmente sui tiri lunghi che tendono a cadere nel lato debole, parte del campo in cui la difesa è in minoranza. Diamo un’occhiata:
Notoriamente, se la difesa a zona 2-3 concede la ricezione fra le due linee è destinata a sbriciolarsi, a subire il jumper della linea del tiro libero o la giocata high-low; è quindi cruciale la capacità del centro di pattugliare verticalmente la paint zone.
Da notare tuttavia come, l’entry pass al post sia sempre avvenuto dopo numerosi ribaltamenti e non sia mai stato concesso agevolmente, e come inoltre la difesa abbia continuato a reagire combattivamente sino al tiro, magari al ferro, ma mai troppo comodo o non contestato.
Atletismo e lunghezza di leve consentono ai ragazzi di Boeheim rotazioni asfissianti, palle sporcate, recuperate e stoppate, per cui l’attacco non ha solo il cruccio di riuscire a trovare la “mattonella” per un buon tiro, ma anche di eseguirlo contro difensori atletici, ma che non saltano facilmente sulle finte ed hanno un buon senso della posizione.
Nel filmato che segue, vedremo la difesa Orange resistere con naturalezza ad attacchi aggressivi e pazienti, contestare tiri e chiudere egregiamente sia sull’arco che al ferro, con rotazioni che dimostrano tutto il lavoro scrupoloso fatto in palestra:
In tutta la partita, nonostante la pressione e la giovane età dei giocatori, la zona non ha mai avuto black-out, non ha concesso nessun taglio back-door, nessun lob al ferro, nessun canestro in contropiede, nessun punto facile, gli Orange hanno giocato come se avessero già visto la partita negli spogliatoi, erano sempre un fotogramma avanti rispetto a quello che vedeva l’attacco. Il fondamento di questa efficacia difensiva non è tanto una questione di tattica (non è un’interpretazione innovativa della 2-3) e non dipende solo dal personale (atletico ed “affamato”), ma soprattutto dalla totale padronanza dei principi base e dalla fiducia con cui viene eseguita, è una difesa preparata e solida anzitutto mentalmente prima che tatticamente; e quando questi due aspetti si sposano, i risultati non possono che essere ottimali.
In conclusione, una dichiarazione di Boeheim (dell’anno scorso), fa eco a quello che molti di noi avranno pensato guardando una partita Nba o partite Fiba in cui gli States affrontano una difesa a zona, ovvero che la difesa a zona possa non essere necessariamente solo un espediente tattico per spaesare l’avversario in possessi sporadici: “If you’re a man-to-man coach and the other team hits three or four shots, do you take timeout and go to zone? […] Of course not. So, I’m a zone coach. Am I supposed to take timeout and go to man? Why would I do that? It doesn’t make sense.”