[Maggio 2009] Chi dice Dwight dice Dunker, Doppia-doppia, Dominatore-del-pitturato e Diamine-quanto-arriva-in-alto, ma da quest’anno dice anche Difesa, nella fattispecie Defensive Player of the Year (DPY).
Di recente è stato pubblicato su questi schermi un altro articolo, ben fatto ed esaustivo, su chi sia e cosa abbia combinato Dwight Howard, quindi non è il caso di indugiare sul personaggio, anello di congiunzione tra l’uomo e l’antilope saltatrice indiana (o il canguro, se preferite…).
Sarà sufficiente ricordare i suoi risultati di fine stagione: Howard ha vinto (di misura) sia la classifica dei rimbalzi che delle stoppate, risultando finora il quinto a compiere questa “doppietta”: l’impresa statistica portò il suddetto premio anche a Ben Wallace (2002), ma non ad Olajuwon nel (1990); gli altri due casi, Jabbar (1976) e Walton (1977), accaddero in un’epoca in cui non esisteva ancora l’oscar per la difesa.
[Per i tifosi dei Magic che credono nella cabala e vogliono sperare: sinora, M. Cooper (1987), Rodman (1990), Olajuwon (1994) e KG (2008) hanno abbinato DPY ed anello Nba… possibile che Howard risulti il quinto anche in quest’altra “doppietta”?].
Dwight è stato inoltre primo per defensive rating (una stima dei punti realizzati dall’avversario per 100 possessi), quarto caso nell’ultimo decennio in cui il DPY è primo in questa classifica: è capitato anche a Garnett l’anno scorso e a Ben Wallace nel 2003 e nel 2002.
Insomma, i numeri confermano che Howard è l’ultimo che vuoi incontrare dopo che hai saltato, come da copione, la difesa perimetrale dei Magic, non esattamente un muro invalicabile. Non a caso, Iguodala, al primo turno di Playoff, ha candidamente ammesso che Dwight “Può marcare due giocatori allo stesso tempo. Può marcare il suo uomo e l’altro che esce dal pick-and-roll, il che è quasi impossibile da fare… se continua a migliorare atleticamente sarà necessario cambiare le regole”. D’altronde, se hai la mobilità laterale e l’esplosività verticale degne di una guardia, ma ti ritrovi comunque un corpo lungo quasi sette piedi, puoi agevolmente compiere imprese atletiche irripetibili, ignote persino al basket antigravitazionale dei videogames.
Tuttavia è bene ricordare che il premio non si conquista con i soli numeri: il trofeo DPY è non a caso intitolato a Sidney Moncrief, guardia dalle statistiche non esaltanti, ma sicuramente, considerando anche il soprannome “the squid” (la piovra), caratterizzata da ben altro, e non in formato numerico, che ha portato ad abbinare il suo nome al trofeo. D’altronde, ad ulteriore conferma, le statistiche di KG dell’anno scorso non erano clamorose, ma il premio non ha destato troppo scalpore, trattandosi infatti di uno dei difensori più arcigi ed ostici del panorama Nba.
Il trofeo di quest’anno, al di là del walzer delle opinioni e dei “secondo me…”, è comunque supportato sia dalle statistiche che dal palese impatto che l’ex Slam Dunk Champion garantisce a centro area, quindi, tutto sommato, non è risultata un’assegnazione a sorpresa.
QUALE DIFESA? PER QUALE GIURIA?
Com’è che si aggiudica il “Nobel per la frustrazione dell’attacco”? Quest’anno 119 tra giornalisti e commentatori hanno espresso il loro plebiscito, votando i primi tre difensori: ogni votato riceve 5 punti per ogni primo posto ottenuto, 3 per il secondo e 1 per il terzo; si procede con la somma dei punti assegnati a ciascun giocatore e il resto è storia.
Jeff Van Gundy, durante una recente telecronaca ha palesato il suo dissenso sulla composizione della giuria, che esclude i coach e gli “addetti ai lavori” (detto da un ex-coach ora al servizio dell’Abc, non può che far riflettere…). Personalmente condivido; resta vero che il basket necessita dei mass media (strumento imprescindibile per l’affermazione sociale ed economica di qualsiasi sport) come un corpo necessita dei polmoni per respirare (il cuore resta ben altro), ma forse in questo caso c’è un certo squilibrio a favore della stampa, che in Nba decide di quasi tutte le onorificenze: i tifosi hanno il loro momento votando i titolari dell’All Star Game; i giocatori votano per lo Sportmanship Award; la stampa (quindi giornalisti televisivi inclusi) vota il DPY, il Rookie of the Year, il Most Improved, il Sixth Man, i tre All Nba Teams e l’MVP; ai coach restano i panchinari dell’All Star Game (per quello che contano), i due All Rookie Teams e i due All Defensive Teams (da ricordare che i coach non possono votare per i propri giocatori)… il simpatico Jeff forse non ha tutti i torti: un po’ più di voce in capitolo i coach se la meriterebbero (almeno su MVP e All Nba Teams), sia per la competenza con cui conoscono il gioco, sia per la cura con cui devono studiare i rispettivi avversari, finendo col saperne valutare dettagliatamente le caratteristiche.
Comunque, va detto che è riscontrabile una estrema omogeneità tra quanto deciso dalla stampa e quanto dai coach, infatti solo due volte il DPY non è stato poi inserito nel primo Defensive Team: nel 1995 Mutombo (Nuggets) fu DPY ma “solo” secondo quintetto difensivo, come già capitato ad Alvin Robertson (Spurs) nel 1986, annata in cui Alvin (cui Dwight ha tolto il primato di DPY più giovane, per un solo mese, semmai possa interessare a qualcuno…) scippò ben 3,67 palloni a partita, media di “refurtiva” ancora ineguagliata (eh si, qui si sfiora la denuncia per rapina), e compì quel miracolo statistico che è la quadrupla doppia, unico a realizzarla con le rubate (Thurmond, Olajuwon e D. Robinson la fecero con le stoppate).
Restiamo sul tema “difesa”, termine che indubbiamente abbraccia una ventaglio di sfumature, attività e capacità molto eterogeneo… la storia del trofeo, rivela una certa tendenza a premiare la difesa nella sua dimensione interna e verticale, nel cuore della paint. In 27 edizioni, le guardie sono state solo 5: Gary “the Glove” Payton (unico play “puro” del gruppo) Jordan, M. Cooper, A. Robertson e ovviamente S. Moncrief (2 volte); unica ala piccola Artest; il resto (20 trofei) ali grandi e centri, con Ben e Dikembe che in due ne hanno addirittura 8 (4 a testa, Ben unico a fare 2 back-to-back). Probabilmente la difesa più tangibile, più appariscente (soprattutto per la stampa…) e più quantificabile statisticamente, è proprio quella fatta di rimbalzi, stoppate, aiuti difensivi ed intimidazione, per cui i difensori interni hanno più esposizione rispetto al lavoro di gambe, polmoni e cuore fatto, ad esempio, da un play che marca il suo corrispettivo in ogni angolo della metà campo, districandosi tra blocchi granitici e palleggi incrociati spacca-caviglie.
Una definizione di “difesa” che calzi a pennello per tutti e 5 i ruoli non è di fatto facilmente puntualizzabile: ragionevolmente, a ruoli diversi spettano mansioni differenti con peculiarità differenti, tanto in attacco, quanto in difesa, per cui trovare un metro comune o indicatori numerici validi per valutare la difesa sugli esterni assieme a quella interna è a dir poco rebus. Le uniche caratteristiche comuni che prescindono dal ruolo, per ironia della sorte, risultano proprio quelle più indefinibili ed aleatorie: l’impegno, la mentalità, il “cuore”… parole soavi, ma come è possibile di fatto confrontare l’attitudine difensiva di Noah rispetto a quella di Varejao? L’impegno di Bowen rispetto a quello di Ben Wallace?
Forse anche in questa indefinitezza sta il fascino del trofeo, soprattutto considerando che viene assegnato da opinionisti, per cui si è inconsciamente stimolati a poter proporre anche la propria opinione, seppur in veste di “opinionisti minori” (ben altra autorevolezza avrebbe se fosse un verdetto della “casta dei coach”). L’importante è non esagerare con la fantasia e ricordarsi che si sta parlando di difesa: soggettiva, indefinibile, comunque sicuramente giocata “sull’uomo o sulla palla” e non “con la palla”, quindi dovendo tralasciare, per coerenza tematica, ogni riferimento all’apporto offensivo del candidato.
IN DIFESA DEGLI ESCLUSI
Il GM dei Magic, Otis Smith, ha ammesso che i due aspetti notevoli del premio di quest’anno sono stati:
1. Il fatto che Dwight si fosse posto quest’obiettivo sin da inizio stagione (anche grazie alle chiacchierate con Ewing e Mutombo);
2. Che Hedo Turkoglu sia finito tra i primi 16.
Parole sante.
Hedo ha ricevuto un voto per il terzo posto, sufficiente a renderlo 16simo nel ballottaggio dei DPY; chi lo ha votato come terzo difensore assoluto ritiene quindi che solo 2 persone in Nba difendano meglio di lui… probabilmente era un giornalista di hokey… Ovviamente scherzo, ognuno crede nella sua opinione, per quanto bizzarra e di dubbia liceità cestistica; anche se non può non far alzare almeno un sopracciglio leggere che Hedo (ottimo elemento nella metà campo offensiva) è difensivamente risultato a pari merito con Camby, Ariza, Pryzbilla e… Grant Hill; già, per dirla tutta, anche quest’ultimo esito della votazione non convince del tutto: è rimasto uno dei migliori difensori esterni di Phoenix, ma più per carenza di organico difensivo che per proprio merito. Grant (pura classe cestistica incarnata in un corpo un po’ troppo fragile e iellato) è fuor di dubbio esperto, si impegna in difesa (e non è scontato, con i tempi che corrono), bracca abbastanza bene l’uomo, ma non credo che sia tra i top 15 complessivi come efficienza difesiva. Riflettiamo: i ruoli sono 5, non riuscite forse a trovare tre o quattro difensori per ciascun ruolo più efficaci di lui… in una graduatoria che comprende tutti i ruoli, Grant 16esimo è forse un omaggio alla carriera e all’impegno, ma suona decisamente un po’ “fuori tema”…
Scrolliamoci ora dal gruppetto di coda del 16simo ed ultimo posto per risalire i ranghi degli spartani che difendono le Termopili della propria squadra (ok, adesso ho esagerato un po’…).
Il DPY dell’anno scorso, Garnett, s’è piazzato ottavo, sopra Chris Andersen (sempre più la versione pittoresca di Camby: stoppate in aiuto e rimbalzi, più per verticalità che per taglia fuori) e al di sotto di Bryant (qui niente statistiche da urlo, ma una difesa sull’uomo che ha raggiunto livelli degni di nota). Sesto Chris Paul: è stato il miglior ladro di palloni della lega (2,8), è sveglio sulle linee di passaggio, pur non altissimo è un rimbalzista surreale (5,5 a partita), è tosto fisicamente ed atletico, l’anno scorso era nel secondo quintetto difensivo (da ricordare che nel primo non c’era nessun play vero). Anche qui, opinione sempre strettamente personale: nonostante le cifre, non credo che come impatto difensivo Paul meriti un sesto posto in assoluto; indubbiamente è tra i primi play come difesa (assieme a Rondo, decimo nella lista di DPY), ma la top 6 complessiva mi sembra un po’ generosa… quarto e quinto sono invece Battier e Artest, due difensori unanimemente rispettati, non certo per i numeri, ma proprio per il succitato impatto difensivo, cioè per la loro capacità di ridurre drasticamente l’efficienza offensiva del giocatore che prendono in custodia, o almeno di fargli sudare ogni scelta ed ogni possesso; va riconosciuto che entrambi hanno il vantaggio, rispetto per esempio ai play o ai centri, di poter risultare efficaci nella marcatura di più ruoli (come minimo guardia ed ala piccola) e questo li agevola nel palesare le proprie doti difensive, potendo marcare, di volta in volta, l’esterno più pericoloso.
All’ultimo posto del podio troviamo Wade: il ragazzo ha innegabilmente i numeri (5 rimbalzi, 2,2 recuperi e 1,3 stoppate), le doti fisiche (forza, atletismo e reattività) e l’attitudine (si tuffa sul parquet manco fosse un materasso) di chi non considera la difesa solamente un “noioso intermezzo prima di poter attaccare di nuovo”; come difensore esterno, considerando tutti i suddetti aspetti, direi che D-Wade ha pochi simili in giro nella lega. Podio meritato.
Al secondo posto James: i numeri non sono un’opinione (7,6 rimbalzi, 1,7 recuperi e 1,1 stoppate), tuttavia il parere personale resta quello che il suo impatto difensivo sia basato più sugli highlights (numerose le stoppate con cui ha mortificato molti ignari contropiedisti…), piuttosto che su un costante impegno nel marcare il diretto avversario; come mentalità difensiva è per ora più un Camby (“mi passi, ma poi ti stoppo”) che un Garnett (“non mi passi… e se ci riesci ti stoppo”)… le doti fisiche non mancano di certo e sebbene come attitudine sia innegabilmente migliorato rispetto al passato, mi sembra azzardato includerlo nell’elite degli specialisti della difesa (che poi sia un papabile MVP, quello resta un altro discorso…).
Alcuni assenti, certamente non degni del podio per il trofeo, ma che non invidiano poi molto agli altri della graduatoria? Me ne scorderò di certo qualcuno, ma ecco alcuni nomi, a voi decidere se pertinenti o meno:
S. Marion: sia per numeri che per sostanza (e non è certo una novità…); T. Prince: striscia aperta di 4 secondi quintetti difensivi consecutivi; G. Wallace: la scuola Larry Brown inizia a dare i primi frutti e poi ci sono 7,8 rimbalzi, 1,7 recuperi ed una stoppata a partita; Josh Smith: un Howard più basso e meno costante; D. Lee: mister doppia-doppia; A. Nocioni:difende ai limiti della propria incolumità, sempre come fosse l’ultimo possesso decisivo; Al Horford: ala-centro che è un concentrato di affidabilità e costanza; Al Jefferson: sole 50 partite giocate, ma 50 partite di difesa eccellente; Nene: tosto ed atletico, mentalità difensiva da vendere, anche perché la difesa switching di Karl lo costringe a marcare en passant un po’ tutti i ruoli; A. Biedrins: nonostante gli infortuni, ottima presenza interna; Yao Ming: non tanto per l’agonismo (presente come la vodka ad un incontro di ex-alcolisti) quanto per gli inevitabili risultati dovuti alla stazza; E. Okafor: tipo tosto che “fa legna” e trasuda concretezza; K. Perkins: difensore spigoloso che sorride solo negli anni bisestili, accalappia rimbalzi e stoppa a volontà, soprattutto considerando che l’impiego non raggiunge i 30 minuti a partita; anche Dalambert (lasciando da parte lo stipendio da sceicco ed il potenziale residuo non utilizzato): nei minuti che è in campo è una presenza alquanto significativa in difesa; personalmente apprezzo pure U. Haslem e Caron Butler, senza offesa per chi ha votato Turkoglu, ovviamente…
P.S. Tempo di playoff = tempo di difesa… da segnalare un articolo molto interessante che schematizza l’aumento dell’impatto delle difese nei playoff rispetto alla regular season.
P.P.S. Per chi non li avesse ancora visti, ecco alcuni video “esemplari” che rappresentano i principali attributi che caratterizzano la difesa: aggressività (ai limiti dell’aggressione), impegno (ai limiti del commovente), sacrificio (ai limiti del suicidio), fiuto e tempismo (ai limiti del beffardo), reattività (ai limiti dell’istintivo), senso della posizione (ai limiti dell’azzardato), forza (ai limiti del fallo), altezza (ai limiti del concepibile) e verticalità (ai limiti del goal tending).
sia per numeri che per sostanza (e non è certo una novità…); T. Prince: striscia aperta di 4 secondi quintetti difensivi consecutivi; G. Wallace: la scuola Larry Brown inizia a dare i primi frutti e poi ci sono 7,8 rimbalzi, 1,7 recuperi ed una stoppata a partita; Josh Smith: un Howard più basso e meno costante; D. Lee:mister doppia-doppia; A. Nocioni:difende ai limiti della propria incolumità, sempre come fosse l’ultimo possesso decisivo; Al Horford: ala-centro che è un concentrato di affidabilità e costanza; Al Jefferson: sole 50 partite giocate, ma 50 partite di difesa eccellente; Nene: tosto ed atletico, mentalità difensiva da vendere, anche perché la difesa switching di Karl lo costringe a marcare en passant un po’ tutti i ruoli; A. Biedrins: nonostante gli infortuni, ottima presenza interna; Yao Ming: non tanto per l’agonismo (presente come la vodka ad un incontro di ex-alcolisti) quanto per gli inevitabili risultati dovuti alla stazza; E. Okafor: tipo tosto che “fa legna” e trasuda concretezza; K. Perkins: difensore spigoloso che sorride solo negli anni bisestili, accalappia rimbalzi e stoppa a volontà, soprattutto considerando che l’impiego non raggiunge i 30 minuti a partita; anche Dalambert (lasciando da parte lo stipendio da sceicco ed il potenziale residuo non utilizzato): nei minuti che è in campo è una presenza alquanto significativa in difesa; personalmente apprezzo pure U. Haslem e Caron Butler, senza offesa per chi ha votato Turkoglu, ovviamente…
P.S. Tempo di playoff = tempo di difesa… da segnalare un articolo molto interessante che schematizza l’aumento dell’impatto delle difese nei playoff rispetto alla regular season.
P.P.S. Per chi non li avesse ancora visti, ecco alcuni video “esemplari” che rappresentano i principali attributi che caratterizzano la difesa: aggressività (ai limiti dell’aggressione), impegno (ai limiti del commovente), sacrificio (ai limiti del suicidio), fiuto e tempismo (ai limiti del beffardo), reattività (ai limiti dell’istintivo), senso della posizione (ai limiti dell’azzardato), forza (ai limiti del fallo), altezza (ai limiti del concepibile) e verticalità (ai limiti del goal tending).