X & O per i nuovi Heat

August 22, 2011

[Luglio 2010]

“X & O”, per gli Heat, significa quest’anno anche “Incognite ed Opportunità”, non solo dinamiche da lavagnetta tattica.

Più facile far “carburare” un attacco povero di potenzialità o non far “ingolfare” un attacco saturo di talento?

 

Troppa carne al fuoco?

A prima vista, molti invidiano chi ha al suo servizio 3 dei migliori 10-15 giocatori della lega, ancora tonicamente giovani ed addirittura motivati a calcare assieme il parquet per reciproca scelta.

Chi ha l’onore/onere di guidarli, apparentemente privilegiato, prima di pensare a quanti titoli può vincere, a quanto può durare l’eventuale dinastia, si chiede probabilmente come può ottimizzare il rendimento del suo roster; domanda che lo accomuna a tutti gli altri coach.

Solo che lui ha tali Wade-James-Bosh da cui partire. Tutto facile quindi? Il terzetto olimpico provvederà ad inanellare allori fino all’anelato anello?

 

Credo che il buon Erik, un playbook vorrà comunque farlo; perché lo pagano anche per quello, perché vuole dimostrate a zio Pat che ha appreso l’arte e, soprattutto, perché sa che non c’è un bottone da schiacciare per innescare comodamente gli automatismi che consentono di tradurre in risultati il potenziale del nobile terzetto. E qui iniziano i grattacapi, amplificati dal dover portare per forza successi proporzionali alle aspettative ed alla qualità della triade; insomma, persino vincere un anello potrebbe essere giudicato dai posteri come “poca roba, visto chi aveva in squadra…”. La cravatta inizierà presto a star molto stretta sul collo del giovane Spoelstra se non arriveranno nell’ordine: una partenza convincente, una galoppata di strisce positive in regular season, un ottimo piazzamento ai playoff e… la meta finale. Nulla di meno, pena l’onta del fallimento.

Persino la parola “pazienza” potrebbe svanire all’ombra del triumvirato di Miami e con essa anche le chances per Erik di entrate nella storia. Zio Pat già c’è, e non solo come coach: lui ha assemblato l’immondo tridente; ora sta al coach trafiggere le vittime.

 

In difesa, il potenziale complessivo non manca e bisognerà organizzarlo, di volta in volta, a pregi e difetti offensivi dell’avversario di turno. Le rotazioni, l’intesa e l’intensità dovrebbero migliorare durante il corso della stagione, in parallelo alla celeberrima “chimica di squadra” che, considerati gli innesti estivi, ha bisogno di essere ribilanciata più da un premio Nobel che da un coach.

In attacco, dovendo redigere  il suddetto playbook, sta invece al coach edificare pazientemente un’identità offensiva di cui la squadra si fidi; gerarchie, schemi ed uno stile ben definito. Ovvero, tutto quello che può essere insegnato; per il resto (talento, cuore ed ambizioni) la tavola è già ben apparecchiata.

 

Prima di procedere, un breve inciso sulle statistiche. Ovviamente, abbiamo a disposizione solamente quelle relative all’ultima annata in cui i tre campioni hanno giocato separatamente, ma è bene stare in guardia dal prevedere semplicisticamente che diminuiranno come quantità aumentando di qualità. Soprattutto la percentuale dal campo, che dovrebbe giovarsi del giocare affianco ad altre stelle, quindi potendo selezionare meglio i tiri ed affrontando una difesa che ha più fronti a cui badare, non è destinata inevitabilmente a migliorare.

Consideriamo altri realizzatori che, al termine di una stagione, hanno abbandonato il ruolo di prima/seconda opzione offensiva per unirsi ad altri scorer in una nuova squadra: recentemente Artest, Jefferson e Carter, in precedenza i ben noti Lewis, Allen e Garnett. Nel primo anno con il nuovo team, hanno tutti diminuito il numero di tentativi dal campo (in rapporto ai minuti); e le percentuali? Lewis e Carter hanno tirato leggermente peggio, Artest e Allen leggermente meglio (per “leggermente” intendo circa l’1%, cioè nulla), i soli ad aver compiuto un salto di qualità sono stati l’indomito Garnett passando dal 47,6% al 53,9% e il discusso Jefferson, dal 43,9% al 46,7% dal campo.

Probabilmente alcuni go-to-guy, per quanto ben rodati, hanno bisogno di prendersi una certa quantità di tiri per entrare bene “in ritmo”, di essere molto coinvolti per essere efficaci; non è detto che ciò possa accadere se si condivide il pallone con altre due stelle… per fortuna, sia Wade che James garantiscono comunque passaggi ad alta qualità.

chiuso l’inciso.

 

Sicuramente non c’è bisogno di fare le presentazioni dei tre personaggi, ma proviamo a “quantificare” di chi stiamo parlando.

Un dato che accomuna i “tres amigos” è la manifesta autonomia nel segnare: hanno segnato su assist nel  36,2% (Lbj), 27,7% (Wade) e 49,8% (Bosh) dei casi, e solo Bosh, anche in quanto ala, può essersi giovato della presenza di un buon play; Dwane e LeBron invece, non essendo Allen o Hamilton, non hanno mai avuto bisogno di essere innescati da passaggi particolarmente ben fatti o da schemi ben ragionati (il che non toglie che a Chalmers non dispiacerà giocare con loro…). Inoltre, è utile ricordare che si tratta di giocatori che nelle rispettive squadre finalizzavano circa un terzo dei possessi a loro disposizione (Usg%): Wade 34,9% (primo assoluto nella lega), James 33,5% (secondo) e Bosh “solo” il 28,7% (nono). Altri “sintomi” di spudorato valore individuale? Hollinger di Espn ha redatto una formula per calcolare la produttività statistica dei giocatori, detta PER (Player Efficiency Rating). Chi sono i primi quattro in Nba? Nell’ordine: James, Wade, Durant e Bosh. Per fortuna che Kevin resta ai Thunder…

 

Scenari possibili

Run and gun” e “7 seconds offense” sono emblemi di un basket tanto frizzante, quanto (senza offesa) perdente. Già “showtime” evoca tutt’altri scenari da postseason… ma il concetto resta quello: capitalizzare punti il prima possibile, potendo disporre di gente atletica, che sa gestire la transizione ed ha una vena realizzativa tanto innata quanto ben orchestrata da chi siede in panca (aspetto da non sottovalutare). Questo sarà uno dei versanti del gioco in cui il terzetto promette scintille: Bosh è un’ala grande tra le più atletiche e veloci (oltre che dotata di movimenti e tiro dalla media che pochi “rimorchi” possono vantare), Lbj e Wade fanno della corsa e dell’aggressione selvaggia al ferro un dogma cestistico, ma hanno anche senso della spaziatura e sanno scaricarla che è un piacere.

Cercare conclusioni in velocità, da fast break, da secondary break o da early offense è già una soluzione spontanea per la nuova “trinità” di Miami, ma va incentivata ulteriormente, perché mettendola sulla corsa e sull’atletismo, non sono molte le squadre in grado di contenere quei tre in campo aperto (ammesso che ci sia qualcuno in grado di farlo per un’intera partita…). Va considerato che il triumvirato è composto da talenti già venerabili, ma soprattutto ancora atleticamente rampanti, che possono quindi fiaccare e “spompare”, alla lunga, squadre altrettanto talentuose, ma meno giovani (v. Boston e Lakers, le ultime finaliste…).

L’esempio di riferimento non devono dunque essere i Warriors di Nelson (modalità “playground selvaggio”), forse neanche i Suns di D’Antoni (Nash non ha simili), quanto piuttosto i Lakers del suddetto “showtime” guidato (oltre che da Pat Riley versione coach) da un giocatore di due metri con palleggio e passaggio da playmaker (già, uno tipo James), affiancato da una guardia atletica (tipo Wade) e da un’ala grande che riempiva le corsie con la sua rapidità (tipo Bosh). Chiaramente Wade non è Scott (si, proprio l’attuale Scott dei Cavs; ironico, no?!) e Bosh non è Worthy, ma l’idea di fondo si presenta pertinente e funzionale.

Resta da vedere chi dovrà vestire i panni di Jabbar e Green/Rambis, chi quindi avvierà il mortifero attacco con i rimbalzi e le stoppate… forse, la domanda non è proprio “chi?”, ma “in quanti?”. Ci sono già Big Z, Joel Anthony, Magloire, Juwan Howard e il promettente rookie Pittman (troppi assieme ma troppo poco singolarmente? Molti falli da spendere, ma quanti ne faranno spendere…?).

 

Quando invece la difesa rientra in tempo ed assorbe l’ondata (o meglio, lo tsunami) dei “velocisti” e gli Heat decidono di attaccare a difesa schierata?

Un’idea, non che coach Spoelstra ne abbia bisogno, potrebbe essere impostare una Dribble Drive Motion Offense (per noi, amichevolmente DDM).

Agevoliamoci con un video esemplificativo: al di là dell’immaturità tecnico-tattica dei soggetti che la eseguono e dei cambiamenti da attuare in ottica Nba, le linee guida sono ben palesate.

Proviamo ad applicarle agli Heat:

– attacco dal palleggio: vessare la difesa altrui con penetrazioni, palleggi incrociati ed assalti frontali è la specialità della casa per i “big three 2.0”; sicuramente, se la difesa chiude sul primo, recupera sul secondo, per il terzo sono due punti… oppure si sono scordati Mike Miller sul perimetro, con il suo 48%(!) da tre.

– palla consegnata dal palleggio: soprattutto se intesa anche come blocco (blur screen) è un buon modo per procurarsi cambi difensivi (switch) e conseguenti mismatch; finché accade tra James e Wade, lo switch ci può stare, ma se partecipa anche Bosh…

– inversioni e ribaltamenti: non solo con il passaggio, ma anche (indovinate?) in palleggio. Solitamente un difensore deve badare alla posizione della palla, a quella del suo uomo ed alla propria rispetto al canestro; mettiamoci che debba invece considerare anche un All star che si muove in palleggio invertendo il lato debole con quello forte mentre c’è un altro All star in giro per il campo, entrambi degni di raddoppi ed aiuti.

Ah, ovviamente il terzo All star lo sta già marcando il suddetto difensore… solo uno jedi potrebbe avere un adeguato senso della posizione…  pioggia di backdoor?

scarichi sul perimetro: gli arrivi di Mike Miller ed Eddie House, la conferma di James Jones (41% da tre) e la speranza di un miglioramento di Wade e James (eliminando le forzature), sono un inizio promettente…

– ruolo del lungo: non intasare il pitturato, bloccare, tagliare, lottare sui rimbalzi offensivi e farsi trovare puntuali e precisi sugli scarichi. Cinque attività che riescono decisamente bene sia a capitan Haslem che a Big Z (che all’occorrenza sa anche passarla niente male…).

 

Si dice che l’antidoto “canonico” per la DDM sia una difesa a zona (presente anche nel video proposto); paradossalmente, ciò renderebbe la DDM ancora più temibile, data la scarsa frequenza (e la dubbia efficacia) della difesa a zona in Nba. (P.s. Cosa ci sarebbe di meglio per testare l’autentica affidabilità e soprattutto la resistenza di una packline defense in stile Celtics?).

 

Sarebbe poi interessante vedere cosa potrebbe combinare, in attacco, James da 4: certo, non è né Lewis, né Barkley, forse un ibrido tra i due (magari buttando nel calderone anche Odom), ma con quel fisico, quelle doti di passatore/realizzatore sarebbe un mismatch da incubo per quasi tutte le squadre; sebbene poi, in difesa, dovrebbe inevitabilmente essere affiancato da un centro molto difensivo e da un’altra ala propensa al rimbalzo (qui in fondo basterebbe Bosh: nonostante tutto, il filiforme Chris è decimo nella lega per percentuale di rimbalzi catturati su quelli disponibili, Trb%; anche se giocare con Andrea non gli ha certo complicato la vita in questo ambito…).

 

Altri possibili attacchi “da manuale”? Intendiamoci, con quei tre a garantire talento offensivo oltre la media funzionerebbe anche il “5 fuori” da minibasket… tuttavia, perché imbrigliarli nella rigidità di una Flex offense (alla Utah) o addirittura farli tornare tra i banchi per apprendere i segreti della Triangle offense (alla Los Angeles/Chicago d’annata). Anche una Princeton offense (musa della DDM?), per quanto girerebbe a meraviglia, esaltando il gioco senza-palla degli esterni ed imponendo passaggi intelligenti ai lunghi, non capitalizzerebbe le doti dei tre, abituati a giocare con-la-palla ed a passarla più in modalità scarico-dopo-collasso-difensivo che facciamola-girare ed attacchiamo-in-5.

Anche perché, come accadrà sempre nella squadra in cui gioca un James o un Wade (tanto più se i due assieme e con un Bosh in più), la parola “collettivo”, in attacco, cela sicuramente gerarchie e responsabilità non equivalenti.

 

Qualcosa di meno laborioso e che di certo non mancherà di rintoccare puntuale nella stagione degli Heat?

Palate di isolamenti. Forse brutti da vedere per chi ama il gioco corale ed imprevedibile; ma se i tre go-to-guy hanno fatto gruppo non è per spiegare il basket o per “far due tiri con gli amici”; è per vincere, e gli isolamenti di un James, un Wade o un Bosh aiutano a vincere almeno qualche partita (chiedere alle ex rispettive squadre…). Moltiplicate “qualche” per tre, considerate che le partite potrebbero anche essere di playoff e capirete a cosa potrebbero portare gli isolamenti…

D’altronde: la guardia (Wade) non ha un tiro mortifero da tre (30%), l’ala (James) è affidabile nel mid-range game (40% dalla media) ma richiede adeguato spazio d’azione (v. isolamento), e l’ala grande (Bosh) è più pungente partendo fronte a canestro che in puro post basso. Insomma, dargli la palla e farsi da parte uccide la poesia del 5 vs 5, ma può tornare utile quando l’importante non è più partecipare…

 

Per il resto… uscite dai blocchi? Né Wade né James sono tiratori puri da catch n’ shoot. Gioco inside/out (alla Orlando)? Manca (e credo mancherà) un centro adatto. Pick n’ roll/pick n’ pop? Vedi sopra: non sappiamo ancora chi sarà il centro principale (e se ce ne sarà uno solo), ma di sicuro il buon vecchio Haslem tornerà utile al riguardo.

Per ora va anche considerato che Bosh bloccava molto a Toronto, ma il suo fisico non consente blocchi granitici. Tuttavia, mutando difetto in pregio, proprio la sua sagoma esile, abbinata all’atletismo e la velocità di piedi, lo rendono temibile nel pick n’ slip (o meglio “slip the pick”), cioè fintare di bloccare e, prima del contatto fisico con il difensore altrui, scivolare rapidamente verso il ferro, prendendo di sorpresa i due difensori (che magari s’aspettavano l’ennesimo pick n’ roll).

Comunque, per il difensore del palleggiatore, sarà sempre meglio passare sotto al blocco e sfidare Wade o James a tirare da tre (30% e 33% rispettivamente) piuttosto che farsi saltare come un birillo per subire l’affondo ravvicinato ad alta percentuale o addirittura l’and-one (fallo e canestro).

Già, chi ha la più alta media di and-one a partita? Primo James (1,08 a partita), secondo Stoudemire (1), terzo Wade (0,96) e quarto Bosh (0,91). No comment.

 

Cè infatti un altro punto di forza del terzetto: i tiri liberi. Tutti e tre sono scaltrissimi  nel procurarseli (ed il nome che hanno sulla maglia non è certo un handicap): James è terzo fra le ali piccole nel rapporto tra tiri liberi/tiri dal campo (51%), Wade è primo fra le guardie tiratrici (46%) e Bosh è primo tra le ali grandi (51%).

Notoriamente sono altrettanto affidabili nel realizzarli: Wade 76,1%, James 76,7%, Bosh 79,7%.

Un ulteriore motivo per sfidarli a tirare dalla lunga: se vanno dentro sono sempre e comunque guai per la difesa e proprio per questo una DDM potrebbe essere un rebus irrisolvibile per gli avversari…

 

Tuttavia, volendo vedere il bicchiere mezzo vuoto: la coesistenza di due slasher e di un finalizzatore “interno” come Bosh, più l’inevitabile presenza di un centro, delinea una squadra sbilanciata verso il ferro e che pecca di scarsa perimetralità; basteranno Miller e Jones ad aprire la difesa?

Volendo invece vedere il bicchiere mezzo pieno: i campioni di L.A. erano 24esimi in regular season per percentuale da 3 (34%), eppure a fine anno si sono sposati, con tanto di anello, il Larry O’Brian trophy

 

In bocca al lupo, coach Erik.

 

 

 

P.S. Per i curiosi sulla DDM ecco qualche link “didattico”:

 

http://www.coachesclipboard.net/Animations/FlashDribbleDriveMotionOffense.html

http://www.breakthroughbasketball.com/offense/memphis-dribble-drive-motion-offense.html

http://coachdribbledrive.com/

http://www.dribbledrive.net/

http://www.hoopsplaybook.ca/other_offences.htm

 

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