[Maggio 2010] Anche quest’anno è bene ricordare che l’ultimo play-passatore a vincere l’anello fu il Thomas dei Bad Boys nel lontano 1990 (con 9,4 assist di media fu “solo” sesto: tutto un altro basket) e che l’ultimo membro della Top10 degli assist a vincere le Finals fu Wade nel 2006, 10mo con 6,7 (e prima di lui risaliamo al suddetto Thomas…).
Senza voler essere superstiziosi, ma piazzarsi bene nella classifica degli assist sembra un po’ come vincere il premio di “Coach of the year” (vero Mike Brown?): molto onore, ma a “breve scadenza”.
Così, anche quest’anno c’è ancora in lizza “zio Fisher” per i Lakers, uno dei “meno playmaker” di tutta l’Nba (ma forse uno degli ultimi che vorresti incontrare in una finale tirata), esperta quinta opzione offensiva di L.A.
Per i Magic tocca invece a Nelson, anch’egli “play” con le virgolette, dato che in post-season registra soli 5.3 assist a partita (33 minuti) a fronte di 21 punti con il 52 % dal campo e il 40% da tre, risultando il miglior realizzatore dei Magic.
Questi due play, mutatis mutandis, non eccellono nella quantità di assist anche perché sono incastonati in sistemi offensivi molto “corali” per quanto riguarda la circolazione di palla, senza un gestore egemonico; tanto l’attacco-triangolo dei Lakers che gli schemi dei Magic (pick n’ roll o dentro-fuori), prescindono da un unico fulcro decisionale.
Questo rende l’attacco più difficile da imbrigliare perché la palla circola molto, a differenza di quelle squadre in cui un monarca tiene palla e dà le direttive; in quest’ultima impostazione, braccare il palleggiatore può compromettere l’efficienza dell’intero attacco: difendere forte su uno per bloccarne cinque… se poi “la mente” del gioco è anche il go-to-guy, il rischio di questa “dittatura tattica” è elevato (ogni riferimento ai Cavs non è affatto casuale…).
Oltre alle finaliste dell’anno scorso, tuttavia, ci sono anche i Boston “di” Rondo e i Suns “di” Nash, veri play-maker, etimologicamente. Quel “di” non deve comunque far pensare ad un “possesso” di tipo “lebroniano”: si tratta semplicemente di due “play che fanno i play”, riuscendo anche a segnare senza compromettere la loro leadership strategica.
Al pari di Nelson, entrambi sono infatti ottimi realizzatori: circa 18 punti per Nash (terzo tra i Suns) con percentuali “da allenamento” e 18 esatti per Rondo, addirittura top scorer tra i bianco verdi, sebbene sia anche il più utilizzato con 42 minuti di media.
Per gli assist: ne abbiamo 11 a gara per Rajon (il minutaggio aiuta) e 9 per Steve (in 34 minuti); e qui la differenza con Jameer è già più lampante; inutile citare i numeri abulici di zio Derek…
Nondimeno, la presenza di due passatori-realizzatori “quantitativi” (oltre che indubbiamente qualitativi) non deve trarre in inganno: sia i Suns che i Celtics hanno attacchi ben equilibrati. Personalmente, ritengo che la serie Magic vs Celtics nobiliterà l’espressione “5 vs 5” alla lettera (anzi, “al numero”), come raramente è capitato in tempi recenti.
A differenza di James, il “segnare e far segnare” di Rondo e Nash è di fatto contestualizzato in attacchi “di gruppo”: se i Lakers hanno l’evidente duopolio Bryant-Gasol, i Celtics, i Magic e i Suns hanno quartetti, quintetti e panchine rilevanti ai fini offensivi. L’aspetto interessante è che, nonostante il ruolo strutturale del collettivo, ciascuna squadra può al contempo contare su go-to-guy e uomini dell’ultimo tiro decisamente affidabili: Pierce & Allen per Boston, Lewis e Carter per Orlando (si, ho scritto “Carter”) e Nash per Phoenix (inutile fare nomi, anzi, “il nome” ad L.A.).
Per valutare l’impatto offensivo, anche nei playoff può essere utile considerare la percentuale di possessi di squadra finalizzati da un giocatore (con tiro, dal campo o libero, o palla persa) nei minuti giocati; statistica comunemente abbreviata in Usg% (“usage”).
Partiamo dunque dal più “finalizzatore” di ciascuna squadra e scendiamo del 15%, escludendo i giocatori con minuti di media inferiori a 12, così da poter enumerare quanti giocatori contribuiscono adeguatamente all’attacco in proporzione a quanto fatto dal maggior finalizzatore:
Lakers: Bryant 33,2% – Gasol 22,2% – Brown 21,2% – Farmar 18,9%.
Magic: Nelson 25,6% – Howard 24,9% – Carter 23,7% – Redick 19,1% – Pietrus 18,9% – Lewis 18,2% – Barnes 14,6%.
Suns: Stoudemire 25,9% – Barbosa 25,4% – Nash 25,2% – Dragic 24,9% – Richardson 24,7% – Hill 15,3% – Dudley 13,5% – Frye 13,3% – Amundson 11% (rientrano tutti i giocatori con almeno 12 minuti!).
Boston: Pierce 23,7% – Garnett 22,8% – Rondo 21,9% – R.Allen 20% – Davis 19,3% – T.Allen 18,7% – Wallace 14,6% – Perkins 13,4% (anche qui rientrano tutti i giocatori con almeno 12 minuti).
La ripartizione di responsabilità offensive di Boston e Phoenix ha palesemente del prodigioso, ai Magic restano fuori lo specialista difensivo Gortat e il play veterano Williams, mentre a L.A. è evidente quali siano i due binari preferiti della triangle offense.
Da notare come le due squadre più corali siano quelle con i due play-passatori. A questo punto, ci si potrebbe chiedere: questi due attacchi risultano bilanciati perché gestiti da play molto coinvolgenti o ciascun play fa molti assist perché gioca in un sistema omogeneo con buoni compagni? L’uovo o la gallina? Fate voi.
Ovviamente, la poliedricità dell’attacco è solo uno di numerosi fattori che possono determinare l’efficacia di una squadra, assieme a molti intangibles che non si piegano alla legge dei numeri. Indubbiamente, su quattro finaliste di Conference, tre hanno un attacco piacevolmente corale, non solo nella circolazione (in questa anche i Lakers predicano bene), ma anche come finalizzazione; tre attacchi in cui “tutti sono importanti, ma nessuno è indispensabile”: basti considerare l’incertezza offensiva di Howard al primo turno (con i Magic che fanno comunque 4-0), o le prestazioni non eccelse al tiro di Pierce contro i Cavs (con Boston che passa il turno 4-2) o a quello che ha combinato il panchinaro Dragic in Gara3 contro San Antonio…
Magari vincerà la squadra meno corale facendo leva su altre qualità; o magari arriveranno in finale proprio i due migliori passatori, esorcizzando “la maledizione degli assist-man” e facendo alzare più di un sopracciglio dallo stupore…